Lo scandalo delle intercettazioni di Luca Palamara travolge anche Giovanni Legnini, ex vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura tra 2014 e 2018 e oggi commissario per la ricostruzione post sisma. L’ex senatore del Pd aveva difeso a spada tratta Palamara ma oggi, lette quelle carte alcune delle quali lo coinvolgono direttamente) è in evidente imbarazzo e prende le distanze dal magistrato con una intervista a Repubblica: “Gran parte delle intercettazioni si riferiscono ad un periodo successivo. Quelle relative alla mia consiliatura riguardano chat e messaggi tra consiglieri e magistrati, che io non potevo conoscere. Sono sorpreso per certe espressioni“.
L’immagine è quella di una magistratura che ragiona per spartizioni e correntismo. “Io l’ho denunciato in modo costante, pubblicamente e in plenum. E fu per questo che promuovemmo un’autoriforma per introdurre criteri di trasparenza nelle nomine basata su tre principi: rendere pubblici i lavori della commissione incarichi direttivi, soprattutto in occasioni di nomine importanti, su richiesta di due componenti su sei. Una verbalizzazione, anche sintetica, di quelle sedute.
E infine l’abolizione delle nomine a pacchetto. Sono norme vigenti ma soltanto la terza è attuata”. E Palamara? “Era un magistrato molto influente ed era il capo di fatto di una corrente. Sulle decisioni importanti, spesso siamo stati in disaccordo. Ma io ho conosciuto un altro Palamara, non certo quello delle conversazioni che sono state rese pubbliche, che mi hanno sorpreso e amareggiato nei toni e nei contenuti”.
In una intercettazione con Palamara, Legnini lo invitava ad attivarsi per “orientare la linea del gruppo” di Repubblica. Parole gravissime. “Vorrei contestualizzare – si difende Legnini -. Siamo al 29 maggio del 2019, Repubblica aveva raccontato i primi esiti dell’inchiesta di Perugia. Palamara si diceva oggetto di una sorta di congiura. E io sbagliai a credergli. Mi chiese come potesse far emergere la sua versione. Mi sembrava un uomo distrutto e mi dichiarai disponibile ad aiutarlo. Ma certamente ho usato una frase infelice, anche se in un contesto privato e confidenziale, perché mai avrei potuto orientare Repubblica né nessun altro: non ne avevo il potere ed è lontanissimo dalla mia concezione di indipendenza della informazione”. Legnini chiede scusa a Repubblica. Per quelle agli italiani, c’è ancora tempo. www.liberoquotidiano.it