di Giuseppe Matranga
Lo spettro di una patrimoniale si fa sempre più concreto per le famiglie italiane, di questo delitto annunciato ci sono molteplici moventi, molteplici mandanti, di conseguenza i sospetti si fanno sempre più concreti.
Nelle ultime settimana è capitato di sentir parlare di tassa patrimoniale, mai dagli esponenti del governo, bensì da figure ad esse molto vicine che ne paventano l’utilizzo, e da protagonisti dell’opposizione che chiaramente prospettano l’ipotesi per screditare gli avversari politici agli occhi degli elettori.
Proviamo a fare il punto della situazione economica e finanziaria del nostro paese, attraverso dei semplici ragionamenti matematici, chiaramente i dati per il prossimo futuro sono del tutto previsionali e il risultato del nostro ragionamento sarà quindi una previsione tendenziale che potrebbe anche grandemente discostarsi dalla realtà fattuale.
Il debito pubblico italiano pre-covid era calcolato in misura del 137% rispetto al PIL, volendo dare l’idea dei numeri reali possiamo definire il debito pari a circa € 2.350 miliardi e il Pil pari a circa € 1.700 miliardi; considerate le previsioni sulla recessione del PIL in un intorno del 10% possiamo presumere che il suo valore nominale scenda a circa € 1.530 miliardi, il governo dando seguito alle sue “poderose misure d’emergenza” ha finora previsto uno scostamento di € 75/80 miliardi (25 mld riferibili al Decreto Cura Italia e 50/55 mld dell’ancóra solo annunciato Decreto Aprile), che equivalgono a circa +3% sul totale nominale del debito pubblico. Volendo tornare al valore del rapporto debito pubblico/Pil possiamo quindi presumere esso raggiunga il valore di 158%, un valore assolutamente enorme, specialmente se confrontato al fantomatico 60% richiesto dal Trattato di Maastricht del ‘92 e dal Fiscal Compact del 2012.
Negli ultimi giorni le tre piu grandi agenzie di rating hanno declassato i titoli italiani all’ultimo gradino superiore a quelli definiti junk (spazzatura), ovvero ritenuti ad altissimo rischio di insolvenza. Ciò espone il Paese a grandissime difficoltà di accesso al credito nel caso in cui la BCE smetta di acquistare i suoi titoli, e a tal proposito possiamo anche far riferimento ad una sentenza della Corte Costituzionale tedesca attesa per il 5 maggio, che rischia di fare da determinante nelle scelte operative della Banca Centrale presieduta da Christine La Garde.
Come se non bastasse la direzione implicita del governo sembra quella di accedere al credito del MES, il quale seppur senza le fantomatiche condizioni immediate, di cui si vanta la maggioranza, espone il Tesoro italiano ad una supervisione stringente da parte dei creditori, sin dal prossimo anno, in merito alla spesa pubblica e alla gestione del debito.
Una tassa patrimoniale serve soltanto a modificare l’allocazione di risorse, e non ad aggiungerne di nuove, cosa che invece si rende necessaria in un momento di fortissima recessione come quello in cui ci troviamo, ciò da adito ai soggetti di governo ad escludere tale ipotesi dai possibili scenari prospettabili.
Eppure sorge più di un dubbio.
Possiamo inoltre aggiungere che in funzione di “comportamenti razionali” in vista alle aspettative, è presumibile, oltre che scientificamente provato, che paventare la possibilità di un prelievo forzoso dai conti correnti e quindi dai risparmi delle famiglie, comporta la “fuga dei capitali”, ovvero spinge gli investitori ad allocare all’estero i loro risparmi in modo da proteggerli dell’eventuale prelievo improvviso.
Tornando ai numeri è giusto dire che l’Italia, ha uno dei risparmi privati più grandi del mondo, commisurato in circa 2.400 miliardi di euro, di cui 1400 miliardi detenuti liquidi sui conti correnti; dato che ha sempre mantenuto la visione del nostro come un paese solido dal punto di vista finanziario agli occhi degli investitori esteri.
Tutti i fattori finora elencati fanno supporre che sia nel breve che nel medio periodo il nostro Paese, spinto da necessità di rifinanziamento (nel caso in cui perda l’accesso al mercato), o da scelte inerenti istituzioni sovranazionali (board del MES in visione di una ristrutturazione del debito), possa essere portato, se non obbligato, ad una riduzione drastica del rapporto debito/PIL.
Dopo la crisi dello spread che si esaurì col Governo Monti e le politiche all’insegna dell’austerità “lacrime e sangue”, si intervenne di fatto con una drastica riduzione della spesa pubblica, andando a reperire risorse dalle pensioni e dalle classi lavoratrici; dette politiche di austerità comportarono una recessione che di fatto portò ad un’ulteriore accrescere del rapporto debito/PIL di ben 12 punti percentuali.
Oggi è praticamente impensabile o almeno remota, l’ipotesi che un nostro governo, seppur sospinto da spiriti bolscevichi, possa scegliere di applicare un ulteriore salasso all’economia nazionale in virtù di una riduzione del debito, sia sotto forma di riduzione della spesa che come aumento della pressione fiscale.
Pertanto nello scenario odierno resta una sola soluzione plausibile, quella di trasferire risorse private per saldare il debito pubblico, attingere allo storico risparmio privato dei cittadini con una “tassa patrimoniale” improvvisa quanto pesante.
La possibilità di un prelievo forzoso improvviso dai conti correnti degli italiani, seguendo la falsa riga del Governo Amato del ’92, permetterebbe di drenare ingenti somme di denaro dai privati in favore del rimborso di parte del debito pubblico.
Se tale ipotesi è pertanto divenuta molto probabile è altrettanto probabile che essa abbia un’entità enorme, affinché la scelta sia motivata si presume dovrebbe permettere di ridurre il debito almeno se non di più, di 30 punti percentuali, riportandolo dal valore prossimo al 160%, che sarà certamente raggiunto nei prossimi mesi, a quello pre-covid19 in un intorno del 130%, ovvero una somma di almeno 400 miliardi di euro, pari a circa il 15% dell’intero risparmio privato degli italiani.
Tutto ciò fa sì che i sospetti a nostro avviso si tramutino in solide realtà.
Non sta certo a noi giudicare la legittimità etica e morale di un tale procedimento, il quale probabilmente sarebbe auspicato dalle classi indigenti e deprecato da tutti coloro i quali siano riusciti nel tempo a mettere da parte una qualche riserva di valore, considerando anche che in questo caso non si tratterebbe di “togliere ai ricchi per dare ai poveri” come auspicava il buon Robin Hood, bensì di togliere ad alcuni per dare alle banche, le quali in gran parte detengono il debito pubblico dello Stato.
Il procedimento probabilmente assimilabile ad uno di stampo medievale, sarebbe un precedente senza eguali per un paese occidentale e liberale, ad occhi esterni potrebbe addirittura dimostrare l’inaffidabilità del nostro Stato centrale nel preservare gli interessi dei privati, rendendo ancora meno invitante la possibilità di investire nel nostro paese e portandolo definitivamente tra i paesi a rischio perenne.
In conclusione sosteniamo che non sia auspicabile intraprendere tale direzione, ma ancor meno auspicabile è intraprendere ulteriori rapporti di sudditanza con enti sovranazionali che possano spingere il nostro paese a praticare scelte antidemocratiche.