Silvia Romano, ipotesi: rapitori jihadisti europei o americani

Jehad Serwan Mostafa – foto FBI

Gian Micalessin per “il Giornale – – Silvia Romano sarebbe finita nella mani dei volontari jihadisti stranieri, che combattono per Al Shabaab. I più pericolosi, legati ad Al Qaida compresi cittadini americani e inglesi con taglie milionarie sulla testa. I buchi neri sul rapimento di Silvia Romano emergono fra le righe della deposizione dell’ ex ostaggio alla procura di Roma trapelata a singhiozzo negli ultimi giorni. A tal punto che adesso l’ ordine draconiano dell’ autorità giudiziaria sarebbe il silenzio assoluto.

Il primo punto da chiarire è che i rapitori, probabilmente non sono somali. Silvia sostiene che «parlavano in arabo». La marmaglia locale di Al Shabaab, che vuole dire «gioventù» parla i dialetti somali. L’ arabo è la lingua principale degli adepti internazionali di Al Qaida giunti in Somalia per la guerra santa. Si calcola che siano fra i 200 e 300 provenienti dallo Yemen, Arabia Saudita, Iraq, Afghanistan, Pakistan e Bangladesh. E anche dagli Stati Uniti, Canada, Inghilterra e altri paesi europei.

Uno dei più famosi e ricercato dall’ Fbi con 5 milioni di dollari sulla testa è Jehad Serwan Mostafa. Classe 1981, nato a San Diego parla arabo e inglese. Dalle deposizioni Silvia spiega che «il capo parlava inglese».

Ed è stato proprio lui a portarla sulla strada della conversione. Anche se era incappucciato l’ ex ostaggio potrebbe riconoscerlo perchè secondo le informazioni dell’ Fbi «ha un’ evidente cicatrice sulla mano sinistra, gli occhi blu e porta gli occhiali». Nome di battaglia Anwar al-Amriki è un comandante senior degli Al Shabaab, che guida i combattenti stranieri, manipolatore e specialista dei media.

Un altro buco nero è capire se Silvia, diventata Aisha, abbia subito un lavaggio del cervello in stile sindrome di Stoccolma o sia stata sottoposta ad un vero e proprio tentativo di radicalizzazione. Nelle deposizioni trapelate la cooperante sostiene che i terroristi le facevano vedere «video tratti da Al Jazeera».

Non si trattava certo di Topolino, ma dei soliti filmati sulla guerra santa in Somalia. «Le regole fisse della manipolazione con l’ obiettivo di radicalizzare è la conversione per scelta, come ha ammesso Silvia, l’ imbonimento con filmati che mostrano come il nemico infedele ammazza i bambini a differenza dei mujaheddin che si immolano con gli attacchi suicidi per difendere il vero Islam» spiega al Giornale una fonte operativa. Poi, come è accaduto con tutte le giovani jihadiste italiane partite dall’ Italia, c’ è sempre la calamita dell’ amore, il matrimonio con un mujahed e i figli che cementano il legame con la guerra santa.

Silvia avrebbe subito i primi due passaggi della manipolazione, che ha già ottenuto un risultato con il suo discusso rientro in Italia. «La conversione e la tunica verde sono tutti messaggi interpretati come una vittoria dal mondo jihadista in rete – spiega la fonte – E serve anche ad attirare proseliti da una parte e scatenare gli anti islamici contro Silvia facendola apparire come una vittima». Obiettivo almeno in parte raggiunto, che si intreccia con il buco nero tutto da esplorare a livello internazionale.

Gli inquirenti sono al lavoro su tabulati, contatti telefonici e documenti acquisiti dalle autorità del Kenya.

Il rapimento sarebbe avvenuto su commissione e pianificato in Somalia grazie da appoggi oltre confine, dove la polizia ha cercato Silvia a vuoto. E soprattutto bisognerà capire la contropartita chiesta dal Mit, i servizi segreti di Ankara, per l’ aiuto nella liberazione dell’ ostaggio che potrebbe riguardare lo scacchiere libico.