di Antonio Amorosi – Non c’è nessun complotto dietro l’uso o il non uso della sieroterapia, il plasma iperimmune con anticorpi policlonali, asceso alle cronache nei giorni scorsi come intervento per guarire i malati da Covid 19. Sono le regole del gioco. Dietro ci sono interessi contrapposti e visioni differenti.
La sieroterapia col plasma iperimmune ha il limite che nessuno può commercializzarla o brevettarla, almeno in Italia. Non è un farmaco perché trattasi di plasma donato dai pazienti ed è una cura antica che si usa da 100 anni. E’ stata utilizzata ogni volta che non c’erano altre terapie utili o un vaccino, come contro le epidemie di “Spagnola”, l’Ebola, la Sars, la Mers. È sicura e controllata come può esserla una trasfusione moderna. Ma non sembra vada bene.
Utilizzata con risultati eccellenti tra il San Matteo di Pavia e il Carlo Poma di Mantova (nessun morto in quegli ospedali da più di un mese, leggi l’articolo) la terapia ha scatenato polemiche dopo che alcuni esperti hanno sollevato dubbi e perplessità. Visti i risultati promettenti e l’assenza sulla scena di una terapia alternativa così potente, anche il governatore del Veneto Luca Zaia ha lanciato un appello a tutti i guariti della sua regione per donare il plasma e costruire una banca dati locale, data la possibilità di una seconda ondata di contagi. Il buon senso e il tempismo di Zaia, che ha preso contatti con Pavia, è rimasto lì nella completa solitudine.
Ci hanno spiegato i direttori del San Matteo e del Carlo Poma che il plasma iperimmune si basa sull’azione di anticorpi policlonali neutralizzanti per il Sars-Cov-2, prelevati da pazienti già guariti dal Covid. Gli anticorpi policlonali trasfusi nei malati, debellano il virus in tempi rapidi, dalle 2 alle 48 ore, bloccando il danno sugli organi. Le somministrazioni controllate possono avvenire a distanza di 48 ore l’una dall’altra, nel caso un’unica infusione non vada a segno.
Il sangue umano è un prodotto naturale che non si riesce ancora a riprodurre artificialmente nella sua complessità, si riproducono degli aspetti parziali ma non tutta la gamma di azione. La sieroterapia funziona con una parte del sangue, il plasma, che agisce su tutto lo spettro del virus, proprio perché gli anticorpi naturali sono policlonali. Ma la strada che si vorrebbe perseguire in Italia è quella della riproduzione in laboratorio del plasma anticorpale in versione monoclonale, cioè riprodurre artificialmente in laboratorio il plasma. Possibilità che lo riporterebbe nell’alveo dei farmaci e delle case farmaceutiche, con controlli e brevetti connessi. Ma anche con risultati, questi sì tutti da valutare, visto che il plasma artificiale non avrebbe la potenza di spettro di quello umano.
“In questo momento il plasma iperimmune che ci viene donato è il più sicuro al mondo”, ha raccontato ad Affari, alla nascita del caso, il direttore del Servizio Immunoematologia e Medicina Trasfusionale del policlinico San Matteo, Cesare Perotti, che ne ha sviluppato il protocollo e lo studio, eliminando ogni pericolo di trasmissione di altre malattie, “perché la legislazione italiana ha delle regole stringenti che non ci sono in Europa e in nessun altro Paese al mondo, neanche negli Stati Uniti. Non solo abbiamo gli esami obbligatori di legge sul plasma per essere trasfuso, ma abbiamo degli esami aggiuntivi e il titolo neutralizzante degli anticorpi che è una cosa che facciamo solo noi al policlinico di Pavia. Neanche gli americani sono in grado di farlo in questo momento. Non ha eguali al mondo. Noi sappiamo la potenza, la capacità che ciascun plasma accumulato ha di uccidere il virus. Ogni plasma è fatto in modo diverso perché ogni paziente è diverso, ma noi siamo in grado di sapere quale usare per ogni caso specifico”.
La sieroterapia da Mantova e Pavia si sta diffondendo in tutto il mondo. Ma è un metodo vecchio, che sviluppa poco business, basandosi sulla solidarietà di chi è guarito che cede il proprio plasma per curare altri ed ha costi limitati.
“Non abbiamo un decesso da un mese. I dati sono splendidi. La terapia funziona ma nessuno lo sa”, raccontava entusiasta, quando è iniziata questa storia (circa 15 giorni) il dottor Giuseppe De Donno, direttore di Pneumologia e Terapia intensiva respiratoria del Carlo Poma. Adesso che tutti lo sanno sono iniziati i problemi (leggi l’articolo).
La terapia ha ricevuto l’attestato di riconoscimento di una delle più importanti e antiche riviste del mondo, ‘Nature’: ha scritto che la prima scelta per il trattamento della Sars-Cov-2 è il plasma iperimmune. Lo stanno facendo anche molti Stati. De Donno è stato contattato dall’Onu e da governi stranieri. Anche la Food and Drug Administration degli Stati Uniti con il governo degli Usa hanno lanciato uno sforzo nazionale per incentivare la terapia. Ma non basta.
Qualsiasi altro Paese affiancherebbe questi medici con le migliori menti e i più sonori capitali facendo sistema e investendo, cercando una strada per la cura, trovando i punti di sviluppo, sistematizzando in modo capillare la raccolta del plasma e un controllo sanitario del territorio. Non da fare col terrorismo mediatico, utilizzato finora, ma attraverso un uso coordinato dei medici sul territorio. Invece quasi nulla si è mosso. Di certo si è preferito ridicolizzare chi ne ha parlato (vedi il professor Giulio Tarro con alle spalle i suoi 40 anni almeno di professione medica) e creare il contesto per silenziare chi ne ha dato visibilità (leggi l’articolo).
Con il Coronavirus però abbiamo apprezzato di più la scienza medica e i molti politici inadeguati che governano questo Paese. E capire che la medicina non ha uno status speciale rispetto alle altre discipline scientifiche. Nel mondo che verrà non serve aver letto il filosofo della scienza Paul Karl Feyerabend per sapere che le terapie e le discipline giungono ad essere accettate non tanto per la loro compatibilità con il metodo scientifico o per i risultati ma per quanto i sostenitori sono disposti ad accettare le regole del gioco. La scienza medica è il frutto dell’intervento dell’uomo ed è sempre parziale. Dell’uomo porta il bagaglio di intelligenza e capacità sperimentali, come gli interessi, più o meno speculativi e i pregiudizi ideologici.