di Ettore Maria Colombo – – Non bastava il ‘distanziamento sociale’, dentro l’Aula. Non bastavano le mascherine, i guanti (che, poi, nessuno li usa), la rilevazione della temperatura a ogni ingresso del Palazzo, il gel igienizzante, i dispenser di sapone, i fazzoletti di carta e le bottigliette d’acqua. Il Parlamento – o, meglio, solo la Camera dei Deputati, che al Senato saranno anche ‘vecchi’, ma sono molto più smart e al passo con i tempi: c’hanno pure i termoscanner e da lunedì l’attività riprende normale, con tanto di commissioni, audizioni, ospiti riammessi, etc. – ha deciso che doveva fare un altro passo avanti, o indietro.
La Camera esonda e ‘occupa’ il Transatlantico – L’aula della Camera si allarga, esonda, tracima e arriva a ‘occupare’, manu militari, pure l’intoccabile Transatlantico, quello dove, per un centinaio di anni, i politici facevano, letteralmente si immergevano nelle ‘vasche’, andando avanti e dietro, normalmente sottobraccio coi loro colleghi, ma anche con i giornalisti accreditati dentro il Palazzo, quelli iscritti all’Asp (Associazione stampa parlamentare, anno di fondazione il 1918, ma esistente da metà Ottocento) i quali sono i soli, insieme a funzionari, dipendenti del Palazzo, addetti alla sicurezza e ai gruppi parlamentari, che possono ‘avvicinare’ gli onorevoli mentre espletano il loro alto mandato, cioè mentre si trovano dentro il Palazzo.
I cronisti non potranno più accedervi – – Dal punto di vista pratico, diventando il Transatlantico un pezzo di ‘Aula’, vi sarà l’impossibilità di accedervi per chiunque non sia un parlamentare in carica o un commesso. Esclusi, dunque, e preclusi all’accesso, tutti gli altri. Il ‘confine’ dell’aula della Camera diventano, dunque, i finestroni che danno sul cortile. L’Asp sta ancora trattando, in queste ore, con i funzionari, il collegio dei Questori e la stessa presidenza della Camera per mantenere almeno il ‘diritto’ di poter avvicinare i deputati nel cortile d’onore, ma c’è il rischio che anche questo venga, a sua volta, impedito l’accesso ai giornalisti e a tutti gli altri dipendenti. Il che vorrebbe dire che il ‘confine’ dell’Aula diventino i finestroni che si aprono sul cortile medesimo e che sono a ridosso dell’ingresso principale come della sala stampa. Per i giornalisti del Palazzo, tanto vale non andarci neppure più, alla Camera: si fa prima a stazionare fuori dall’ingresso, il portone principale, stile Iene, Striscia la Notizia e tv varie.
Per il Palazzo è una – piccola? – ‘rivoluzione’ -Nel Palazzo e per il Palazzo trattasi di piccola ‘rivoluzione’. Da lunedì 11 maggio, dunque, e per un tempo indefinito, cioè, di fatto, sine die, i giornalisti non potranno più parlare, cercare e tantomeno ‘tampinare’ i politici di Montecitorio nel Transatlantico della Camera dei Deputati. Infatti, con la ‘scusa’ che, a palazzo Montecitorio, bisogna rispettare il ‘distanziamento sociale’, il presidente della Camera, l’illustre onorevole Roberto Fico (un lontano, remoto, passato da descamisado rifondarolo, un presente da uomo delle Istituzioni, ma sempre con il cuore molto ‘a sinistra’), ha deciso che le postazioni che useranno i deputati per svolgere il loro quotidiano lavoro in Aula si allargheranno non solo alle Tribune poste in alto, sopra l’emiciclo, ma anche fin dentro il Transatlantico. Il luogo, mitico, dello ‘struscio’ dei deputati semplici come dei leader di partito, con a lato i suoi comodi divanetti in pelle e in alto gli stucchi e gli arredi dell’architetto Basile, che il Palazzo, agli inizi del Novecento, progettò, diventerà, quindi, un ‘pezzo’ di Aula. Ovviamente, diventandolo, sarà impedito l’accesso a tutti gli altri ‘abitanti’ del Palazzo, tranne che ai commessi (i quali, anche in Aula, sono gli unici a poter accedere): dipendenti di gruppi, addetti stampa, funzionari, giornalisti. Ora, la cosa, ha il terribile sentore e fetore di ‘Casta’, si sa.
Il lavoro di controllo della stampa va a farsi benedire – Ma il problema è di non poco conto. Di fatto, alla ‘libera’ stampa è precluso il diritto di poter accedere al Palazzo e, di conseguenza, svolgere il lavoro precipuo del giornalista: controllare, possibilmente da vicino, cosa fanno i politici. Tanto per dirne un paio, la prossima settimana la Camera esaminerà il decreto legge Covid 19 che sistematizza tutti i (tanti) dpcm sfornati dal governo, ascolterà l’audizione del ministro guardasigilli Bonafede, audizione che si annuncia al fulmicotone, dibatterà la mozione di censura di tutte le opposizioni contro l’abuso delle “libertà costituzionali”, secondo loro perpetrate dal governo, svolgerà il solito, settimanale, esame di interrogazioni e interpellanze (il cd. Question time), esaminerà i provvedimenti economici in itinere (dl liquidità, dl maggio, quando mai arriverà), etc.
Morale, i giornalisti non potranno più chiedere conto, di tale enorme massa di provvedimenti urgenti e indifferibili, agli onorevoli di tutti i partiti e tutti i gruppi parlamentari che li esamineranno, emenderanno e, alla fine, voteranno. Un vulnus, a nostro modesto avviso, non di poco conto.
Parlare con i politici: un diritto in voga dall’Ottocento – Il problema, inoltre, ha una sua valenza storica e politica: sarà impossibile, a partire da lunedì prossimo, 11 maggio, e per un tempo, appunto, indefinito, poter ‘parlare’, vedere e avvicinare (‘toccare’, in tempi di coronavirus, ovviamente, è vietato) i politici, merce e viva carne con cui i giornalisti e i cronisti politico-parlamentari lavorano quasi tutti i giorni. Un’abitudine che, dentro il Parlamento, è inveterata dalla metà dell’Ottocento, è stata ottenuta al prezzo di dure e lunghe battaglie dei giornalisti – presenza che i politici hanno sempre vissuto, ovviamente, con grande ‘fastidio’ – compresi veri e propri duelli tra onorevoli e cronisti. Nessuno mai, tranne ovviamente la parentesi del fascismo, che prima limitò le libertà costituzionali, a partire dal 1924, e che poi, dal 1929, la Camera, banalmente, la chiuse, aveva osato mai mettere in discussione tale diritto – e, anche, si capisce – privilegio della Stampa parlamentare. La quale è nata, ufficialmente, proprio per ‘regolare’ gli accessi dei cronisti dentro il Palazzo, opera che svolge con scrupolo e attenzione certosina dall’anno della fondazione (1918) ad oggi, diretta da Marco Di Fonzo (Skytg24), il presidente dell’ASP, e dal segretario, Adalberto Signore. I quali fanno da ‘controllori del traffico’ degli oltre 400 giornalisti accreditati e che, durante questa fase segnata dall’emergenza coronavirus, hanno – giustamente – imposto un drastico contingentamento delle presenze della Sala stampa, obbligando tutti i colleghi a rispettare, in modo granitico, tutte le prescrizioni igienico-sanitarie.
L’Asp fa quel che può. In discussione il diritto al cortile – Francamente, questo ‘bavaglio’ – l’ennesimo – alla stampa, la Presidenza della Camera se lo poteva proprio risparmiare – a nostro modestissimo avviso – . E poco conta ribattere, come sicuramente l’Ufficio di Presidenza farà a questo articolo, che l’obbligo del ‘distanziamento sociale’ imposto a un plenum di 630 ‘cristiani’ (tanti sono gli onorevoli oggi, nel loro plenum, cioè nella loro presenza, pur se teorica), obbliga a nuove, e più rigide, norme, e dunque anche alla necessità di ‘occupare’ militarmente il Transatlantico. Infatti, se è vero che il contingentamento delle presenze, imposto previo accordo nella conferenza dei capigruppo, è saltato (per due mesi sono stati ammessi solo un sesto di ogni gruppo parlamentare, poi solo la metà, ora invece tutti) e che anche l’occupazione delle Tribune (anche in tal caso, peraltro, scalzando il diritto della Stampa ad assistere alle sedute, tanto che è rimasta in mano all’Asp solo sei posti) non riusciva a ‘coprire’ le necessità del distanziamento per tutti i deputati, ma riusciva a arrivare solo al numero di 503, la soluzione per permettere a tutti e 630 i deputati di essere presenti in Aula, o aule attigue, tutti contemporaneamente, c’era ed era a portata di mano. Bastava un po’ di originalità.
Le tante aulette a disposizione: perché non usare quelle?
Bastava usare le tante ‘aulette’ presenti nel Palazzo (l’auletta ‘Aldo Moro’, costata molti denari pubblici, ha forma di perfetto emiciclo, come quella ‘ufficiale’, ed è enorme, l’Aula di palazzo San Macuto e molte altre aulette), senza per forza ‘invadere’ il Transatlantico. Oppure, la Camera poteva dimostrarsi coraggiosa, come non è mai stata, fino ad oggi, e accettare forme innovative di voto e di ‘presenza’ virtuale come il voto a distanza. Un sistema che il Parlamento europeo, le Cortes spagnole, l’Assemblea nazionale francese e persino il Parlamento più antico del mondo, quello di Westminster, già adottano. Un gruppo trasversale di deputati (Ceccanti, Fiano, Borghi, Baldino, Brescia, Magi, e molti altri) lo ha proposto con insistenza, arrivando a raccogliere ben 60 firme in calce a un documento che chiedeva una tale innovazione. La risposta ‘conservativa’ della Camera è stato un secco niet.
Sono anni che i 5Stelle vogliono cacciare i giornalisti dal Transatlantico. Da oggi, finalmente, ci sono riusciti.
La verità, forse, è un’altra e ha un retrogusto assai amaro, e molto ‘politico’. Riguarda i rapporti tra Stampa e Politica. Quando i Cinque Stelle entrarono nelle stanze del Potere, quelle del Parlamento – il quale avrebbero dovuto aprire “come una scatoletta di tonno”, ma non ci sono riusciti, anzi: come dice Giorgia Meloni, “il tonno siete diventati voi” – rimasero assai meravigliati, oltre che di stucchi, busti e divanetti di pelle, e del lauto stipendio da parlamentare, del fatto che i giornalisti – categoria che, si sa, i grillini odiano dal profondo dei loro intrepidi cuori – avevano libero accesso al Transatlantico della Camera dei Deputati come del Senato della Repubblica. I cronisti potevano anche – horibile dictu – ‘braccare’ i poveri e inesperti malcapitati onorevoli fino al limitare dell’ingresso dell’aula di Montecitorio come di quella di Palazzo Madama. Trattasi di un ‘privilegio’, si capisce, ma che risale all’Ottocento. Oggi, il grillino Fico, teorico della democrazia ‘Rousseau’, riesce, finalmente, nell’antico sogno di Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio: impedire ai giornalisti di parlare – e, dunque, di ‘incalzare’ – i politici, cioè di fare il loro, normale, quotidiano, mestiere. Noi cronisti di Palazzo, ovviamente, troveremo mille altri modi per farci ‘sentire’. E grideremo, mentre le macchine delle rotative macinano carta, “E’ la stampa, bellezza, e tu non puoi farci niente!” come Humprey Bogart nel film L’ultima minaccia (1952). notizie.tiscali.it