Milioni di cinesi senza lavoro, molti tornano nelle campagne

(ASIANEWS.IT) –  Decine di milioni di migranti vagano per la Cina senza lavoro. Molti fanno ritorno nelle campagne da dove provengono, trascinandosi dietro grandi valigie. Una volta arrivati nelle regioni più produttive del Paese scoprono che le fabbriche non assumono, o che i salari sono troppo bassi per sostenere le spese per il vitto e l’alloggio. Scene del genere si verificano ormai nel Guangdong, Zhejiang, Henan, Heilongjiang e Shandong.

Si calcola che siano circa 300 milioni i lavoratori che si spostano dalle aree rurali. Ad essi non è riconosciuta la residenza nelle città o nelle zone industriali dove possono ottenere impiego. Per la leadership cinese si tratta di una vera e propria “bomba sociale”, capace di destabilizzare il Paese una volta esplosa.

Secondo UBS Securities, 80 milioni di posti di lavoro sono stati persi nei servizi, nell’industria e nelle costruzioni per effetto della pandemia. Per Zhongtai Securities, il tasso di disoccupazione in Cina è al 20,5% (circa 70 milioni di lavoratori); le stime ufficiali parlano di un 5,9% di disoccupati. La discrepanza con i numeri governativi è così accentuata, che la società cinese d’intermediazione ha ritirato lo studio, probabilmente su pressione delle autorità. L’Economist Intelligence Unit ha calcolato invece che 250 milioni di lavoratori cinesi perderanno tra il 10 e il 50% dei loro guadagni.

Il governo ha deciso di estendere alcuni benefici ai migranti disoccupati: fino a questo momento non ne hanno mai avuto diritto. Il problema è che finora solo 2,3 milioni di lavoratori cinesi, su un totale di 430 milioni residenti nelle aree urbane, hanno ottenuto un sussidio di disoccupazione.

Sta emergendo un forte malessere tra la popolazione senza impiego. Il China Labour Bulletin riporta decine di piccole proteste da parte di lavoratori in grave difficoltà per la crisi pandemica. Le più recenti si sono avute a Shanghai, nel Jiangxi, Shanxi, Hebei e Fujian.

La riapertura delle attività economiche, e l’allentamento delle misure di confinamento sociale, non hanno prodotto gli effetti sperati dalla leadership. L’economia cinese continua a stentare; la domanda interna fatica a recuperare, e quella estera è crollata dopo che il coronavirus si è diffuso in tutto il mondo. Molte imprese si rifiutano poi di riassumere per timore di una nuova ondata di contagi.

Al momento, gli interventi del governo si sono dimostrati inefficaci. Pechino ha iniettato liquidità nel sistema finanziario, intimando alle banche di assicurare prestiti agevolati alle imprese. Sono stati tagliati anche i tassi di interesse, e ridotte le imposte alle aziende.

La situazione è delicata. Il presidente Xi Jinping ha promesso investimenti per nuove infrastrutture. La questione sarà affrontata dall’Assemblea nazionale del popolo, che si riunirà il 22 maggio dopo il suo rinvio a marzo per l’emergenza Covid-19. Ci sono timori però che un nuovo stimolo, sul modello di quello lanciato nel 2008 per superare la crisi dei mutui Usa, possa surriscaldare l’economia e rendere insostenibile il debito pubblico.