Finora era rimasta in disparte, anche per via della mancata partecipazione all’Eurogruppo di cui il suo Paese non fa parte, dato che non ha la moneta unica. Ma dopo settimane in cui è spettato al governo olandese il ruolo del ‘poliziotto cattivo’ contro gli Stati del Sud, stavolta è toccato alla ‘socialdemocratica’ Svezia fare da contraltare alle richieste di Italia e Spagna. Come riporta El Pais, infatti, al vertice dei leader Ue che si è chiuso nella tarda serata del 23 aprile, a battere i pugni sul tavolo è stato il premier Stefan Löfven, il quale si è detto totalmente contrario non tanto al nuovo pacchetto di misure Ue straordinarie, il cosiddetto Recovery fund o fondo per la ricostruzione post-coronavirus, quanto a come ‘rimpieri’ il pacchetto: Roma e Madrid chiedono che non sia fatto solo di prestiti, come i 540 miliardi messi in campo finora tra Mes, Bei e Sure. Stoccolma vuole invece che siano prestiti con tanto di garanzie a margine.
Il fronte variegato dei frugali – I toni duri di Lofven, dice sempre El Pais, hanno sorpreso soprattutto la delegazione spagnola, visto che il premier Pedro Sanchez fa parte dello stesso partito europeo del leader svedese, ossia il Pse. Di cui fa parte anche un pezzo del governo italiano (il Pd), ma anche altri due illustre rappresentanti della socialdemocrazia scandinava: le giovani premier di Finlandia e Danimarca, Sanna Marin e Mette Frederiksen. I cui Paesi, come la Svezia, quando si parla di futuro bilancio Ue e misure anti-coronavirus siedono tra i banchi dei cosiddetti ‘falchi del rigore’, insieme a Germania e Austria.
Questa breve digressione solo per chiarire che, quando ai tavoli europei si parla dei bilanci nazionali (e quindi dei contribuenti di casa), gli orientamenti ideologici e le alleanze politiche lasciano il tempo che trovano. A unire il fronte dei rigoristi (o frugali, come li hanno ribattezzati da tempo a Bruxelles) c’è un filo abbastanza banale: sono i Paesi più ricchi da un punto di vista del reddito nazionale pro-capite. E questo significa che ogni soldo in più nella casse comuni dell’Ue colpirà con più forza i loro risparmi. Un discorso che è stato reso chiaro fino a pochi mesi fa dai negoziati sul prossimo bilancio pluriennale dell’Ue. E che adesso ha assunto toni drammatici vista la crisi profonda che sta colpendo l’Europa e non solo.
Posizioni meno distanti – Il ‘dramma’ (da un punto di vista diplomatico) è cominciato quando 9 Paesi guidati da Francia, Italia e Spagna hanno sottoscritto una lettere pubblica in cui si chiedeva all’Ue di agire contro la crisi economica derivante dalla pandemia di coronavirus essenzialmente con due strumenti: gli eurobond e un fondo straordinario “per spese legate alla lotta al coronavirus, almeno per gli anni 2020 e 2021”, si legge nella missiva. Quello che è venuto dopo è noto: lo scontro tra Sud e Nord, Italia e Olanda, anti-Mes e pro-Mes.
Le posizioni che fino al 27 marzo scorso sembravano insanabili, adesso pare che siano meno distanti. Francia e Germania fanno da mediatori, a Italia e Olanda spetterà il compito di rinunciare ciascuno a qualcosa. A costo di trovarsi alle strette in patria con il fiato dell’opposizione sul collo (cosa che succede a Roma come a L’Aia, dove tra le altre cose gli oppositori vengono dallo stesso campo politico di destra). Il premier Giuseppe Conte la sua rinuncia la dovrebbe avere già fatta: dopo un primo via libera dell’Eurogruppo, il presidente del Consiglio ha dato il suo ok personale al pacchetto da 540 miliardi di prestiti al cui interno c’è il tanto controverso Mes.
La soluzione ponte – Poco importa che fonti del governo abbiano subito dopo precisato che comunque l’Italia (a differenza di quanto sembra pronta a fare la Spagna) non chiederà i prestiti del Mes: i prossimi giorni saranno di nuovo all’insegna delle polemiche tra opposizione e maggioranza, con rischi di scissione interni ai 5 stelle. A fare da contrappeso a questo ‘cedimento’ saranno le decisioni che verranno prese nei prossimi giorni a livello comunitario, in particolare sul Recovery fund. Soprattutto se saranno prese in tempi rapidi, come ha sollecitato persino la presidente della Bce, Christine Lagarde.
Un primo piccolo risultato a favore Conte lo ha raggiunto quando i leader hanno stabilito un calendario di lavori più stringente per dare forma al Fondo per la ricostruzione. Il compito spetterà alla Commissione, che dovrà valutare prima di tutto le effettive esigenze finanziarie dei vari Stati Ue e se tali esigenze richiedono risorse immediate al di là dei 540 miliardi di prestiti varati finora. Se Bruxelles dovesse accertare l’emergenza, allora si potrebbe procedere a una soluzione ponte, una sorta di anticipo del Recovery fund. Eventualità su cui il premier olandese Rutte si è mostrato scettico: “Soluzione ponte? Prima abbiamo bisogno di un’accurata analisi da parte della Commissione Ue su quanto sia veramente necessario per far fronte alla crisi economica da coronavirus. Nel frattempo abbiamo questo bazooka, il piano Bei, Sure, e il Mes, quindi tutto questo messo insieme è più grande del totale del Mes. Sono così tanti soldi che sarei sorpreso se li spendiamo tutti prima della fine di quest’anno”, ha detto Rutte.
Aiuti vs prestiti – La Commissione dovrebbe presentare una bozza di piano il 7 maggio. E in quell’occasione si capirà qualcosa in più. Perché al di là dei tempi e di un eventuale anticipo, la questione chiave è capire quanto varrà questo Recovery fund e se sarà composto solo di prestiti o anche di sussidi a fondo perduto. Sull’ammontare complessivo, la cifra varia tra 1.000 e 1.500 miliardi di euro (qualcuno dice persino 2.000). La cancelliera tedesca Angela Merkel ha riconosciuto durante il vertice che l’intervento dovrà essere “enorme” e ha indicato come punto di partenza l’importo di un miliardo di euro. Una prima apertura alle richieste del fronte del Sud.
L’altra questione spinosa è la composizione di questo fondo: prestiti con tanto di garanzie su riforme, come chiedono Svezia e Olanda, o aiuti a fondo perduto, come ha ribadito Madrid durante il summit. “La battaglia per i dettagli è incredibilmente complicata e potrebbe richiedere settimane o mesi per chiudersi”, scrive El Pais. Dopo il vertice, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha assicurato che si cercherà “un corretto equilibrio tra prestiti e sussidi”. Fonti comunitarie parlano di una fetta tra il 40 e il 50 per cento a fondo perduto. Si vedrà.