di Cristina Verdi – Roberto Saviano, Laura Boldrini e un centinaio di Ong scendono in campo per chiedere ai governi di tutelare il diritto delle donne ad abortire anche durante l’emergenza coronavirus. In una lettera al ministro della Salute, Roberto Speranza, diverse associazioni di ginecologi non obiettori segnalano come diverse donne stiano incontrando “difficoltà ad accedere ai servizi di interruzione volontaria di gravidanza” rischiando di “superare i limiti temporali entro i quali la Legge 194/78 prevede il diritto di interruzione”.
Con medici e anestesisti impegnati giorno e notte a combattere il virus, le interruzioni volontarie di gravidanza sono passate in secondo piano in molti ospedali italiani, denuncia Silvana Agatone, ginecologa e presidente di LAIGA, associazione che vigila sull’applicazione della legge 194. I letti di questi reparti sono stati destinati ai pazienti Covid e in molti nosocomi, assicura la dottoressa intervistata da Repubblica, gli aborti volontari vengono paragonati ad “interventi di routine” e quindi posticipati alla fine dell’epidemia di Covid-19.
La richiesta al governo, quindi, è di consentire l’interruzione di gravidanza, in deroga alla 194, alle donne incinte entro la nona settimana di amenorrea, anziché alla settima, come previsto dalla legge, e di aprire all’aborto “fai-da-te” con l’assunzione del mifeprostone, meglio conosciuto come pillola RU486, a domicilio. Una questione dibattuta già nel 2017 quando il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, aprì alla possibilità di accedere all’aborto farmacologico anche nei consultori. Ora le associazioni pro-aborto, come LAIGA, Pro-Choice, AMICA e Vita di Donna Onlus, rilanciano, e sull’onda delle limitazioni imposte dalla pandemia chiedono che in Italia sia consentita l’interruzione di gravidanza “casalinga” gestita da remoto, con i “servizi di telemedicina”.
Tra i primi firmatari dell’appello ci sono lo scrittore Roberto Saviano, l’ex presidente della Camera, Laura Boldrini, l’ex ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli, l’ex ministro della Salute, Livia Turco, il radicale Marco Cappato, e poi una sfilza di politici, personaggi dello spettacolo e intellettuali legati alla sinistra.
Dello stesso tenore la richiesta presentata ai governi europei da un centinaio di Ong, tra cui Amnesty International, Human Right Watch e la rete europea di Planned Parenthood. “Bisogna agire con urgenza per garantire assistenza all’aborto nel corso della pandemia”, incalza Leah Hoctor, direttrice regionale europea al Centro per i diritti riproduttivi. La proposta è quella di riconoscere l’interruzione di gravidanza come un servizio “essenziale”, a cui si deve poter accedere anche a domicilio visto che in tutto il Vecchio Continente “la crisi sanitaria ha colpito i servizi sanitari riproduttivi in ospedali e cliniche, a causa della carenza di personale, dei trasferimenti e degli operatori destinati a mansioni legate al coronavirus”.
“Le restrizioni di servizi sulla salute riproduttiva colpiscono in modo sproporzionato le donne che vivono in povertà, le donne con disabilità, le donne rom, migranti senza documenti, adolescenti, le persone trans e di genere non binario, le donne a rischio e le sopravvissute ad abusi domestici e violenze”, attaccano le Ong che si dicono particolarmente preoccupate per sei Stati europei: Andorra, Liechtenstein, Malta, Monaco, Polonia e San Marino, dove l’aborto è ancora illegale o fortemente limitato.
“Ma come? I radicali e la Bonino non avevano combattuto estenuanti battaglie per far terminare gli aborti in casa che causavano la morte anche delle donne e adesso invece chiedono un ritorno al passato? Un rischioso precedente che appare inconciliabile con lo spirito della legge stessa e con la salute della donna”, attacca l’associazione anti-abortista Pro Vita e Famiglia. “Questi esperti da divano nemmeno si rendono conto di quanto sia pericolosa per la salute delle donne la pillola RU486, più rischiosa di un aborto chirurgico e per questo il servizio sanitario la somministra in regime di day hospital”, si legge in una nota diffusa dall’associazione.
L’ipotesi avanzata dal presidente Toni Brandi, tra gli organizzatori del Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona, è che l’obiettivo sia quello di “saltare il medico per fare un aborto” visto il costante aumento del numero dei medici obiettori. Su questo, promette Brandi, “daremo battaglia, perché significherebbe non rispettare la prima parte della legge sulla tutela della maternità e sulle pratiche per disincentivare l’interruzione di gravidanza”.