La UE non esiste più, se non come bancomat di Germania e Francia

di Enzo Ciaraffa

Da quando è cominciata in Italia l’epidemia proveniente dalla Cina (o dalla Germania, non si è ancora capito…) crediamo di non aver mai scritto del virus Covid-19 in quanto tale, perché non siamo virologi, ma sempre e soltanto di ciò che è stato fatto, o non è stato fatto, per arginarne la diffusione nel nostro Paese, lasciandoci suggestionare talvolta da indimostrate tesi… lo confessiamo con molta umiltà. Premesso ciò e prima di andare avanti con la trattazione, vorremmo fare una preliminare domanda a coloro che avranno la bontà di leggere affinché, speriamo, risulti più intellegibile lo sviluppo del nostro pensiero: «Alle prese con un secchio che disperda l’acqua contenuta attraverso decine di buchi, non avrebbe più senso turarli tutti e non soltanto uno o, almeno, svuotare l’acqua in un altro recipiente per recuperarla?».

Con il propagarsi del coronavirus in Cina, i presidenti delle Regioni Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Provincia Autonoma di Trento, chiesero al governo di decretare un periodo di quarantena per coloro che rientravano dal Paese del Dragone come, peraltro, esortavano a fare alcuni virologi anche piuttosto noti. Ebbene, per aver presentato al governo un’istanza così permeata di buonsenso, i suddetti governatori furono pubblicamente, e sottilmente, corbellati dal capo del governo e definiti “fascio – leghisti” dai soliti noti, una parola d’ordine questa sulla quale il governo avrebbe apparecchiato la rovina sanitaria degli italiani, facendoli trovare scoperti e impreparati di fronte all’epidemia del secolo.

Pertanto, avendo un nervo scoperto sul tema e una volta iniziato il dramma seguito all’imprevidenza, il governo si è inventato, quale ennesima parola d’ordine che «In questo momento non bisogna far polemiche», come se il dissenso argomentato non fosse anch’esso motivo di aiuto e di riflessione in un momento così difficile. Perciò, almeno di fronte a una tragedia di bibliche proporzioni, iniziamo a parlar chiaro, anche perché la chiarezza è democratica e, quindi, non dovrebbe offendere nessuno.

Chi ha contribuito a un tardivo e altaldenante modus operandi del governo più o meno consapevolmente, è stato ad esempio il presidente Mattarella il quale – pur consapevole del fatto che ogni suo gesto costituisce ispirazione e guida per il governo e per il Paese – il 6 febbraio scorso si recò a visitare una scuola multietnica del quartiere romano dell’Esquilino, un gesto che come ha osservato il giornalista Tony Capuozzo, «…ha legittimato tutti quanti ad abbassare la guardia, a non comportarsi con la dovuta cautela. Quella visita è stato un gesto simbolico e anche una guida per l’azione, non avrebbe portato i fotografi con sé altrimenti».
Com’era prevedibile, corroborati anche da un endorsement così autorevole e a fronte di un pericolo che si faceva via via più incombente, il governo, i media e la classe politica che lo sostengono hanno messo in scena la follia!
Il 27 marzo, infatti, il sindaco di Milano Sala e il segretario del PD Zingaretti, per fare qualcosa di progressista con le terga dei lombardi nei confronti del coronavirus, hanno organizzato un aperitivo in un ristorante sui Navigli, assieme a tanti giovani del PD ed a sindaci dell’area milanese, con questa bella motivazione: «Vogliamo stare lontani dalle polemiche e vicini alle persone». Il sospetto di essere andato “troppo vicino” alle persone per poter dare una mano a sconfiggere il montante virus non lo ha neppure sfiorato, com’è tipico degli ideologizzati e assurdamente anti scienza.

Purtroppo, dopo le performance di Mattarella, di Zingaretti e di Sala che, però, in queste ore sta facendo bene il proprio lavoro di sindaco, gli italiani si sono convinti che, se del contagio non si preoccupavano cotante figure, forse il pericolo era soltanto teorico. Adesso quel genio incompreso di Zingaretti si trova in quarantena perché infettato dal coronavirus deducibilmente ai Navigli. Grazie a tali esempi, molti italiani ancora oggi, ignorando gli avvertimenti del governo, continuano a vivere come se non stesse accadendo niente, come se ci trovassimo nel bel mezzo di una planetaria vacanza.

A fronte dei dati riferiti ai contagiati e ai decessi che, specialmente in Lombardia, si vanno facendo da bollettino di guerra tanto da far prevedere una Caporetto del sistema ospedaliero, il capo del governo Giuseppi Conte Churchill non ha trovato di meglio che attaccare la sanità lombarda, segnatamente a una supposta falla creatasi all’ospedale di Codogno. Il risultato? Siamo diventati gli zimbelli della stampa estera e gli untori – noi non la Cina! – della diffusione del coronavirus.

Al cospetto di un’emergenza sanitaria e alla derivata crisi economica d’incalcolabile portata, la BCE, per bocca della sua presidente Christine Lagarde, lo scorso 12 marzo a chi le chiedeva che cosa avrebbe fatto per il montante spread italiano, ha confessato, sebbene con altre parole, che del problema non gliene poteva fregar di meno facendo, così, andare a finire nel cesso i nostri tioli di Stato, quelli con i quali dovremmo finanziare anche l’emergenza sanitaria in atto. Le improvvide parole di notre dame della BCE sono costate la bellezza di 825 miliardi di euro all’Europa comunitaria, dei quali 70 soltanto all’Italia. Poi, non appena il virus ha iniziato a fare sfracelli anche in Germania e Francia, i reali padroni dell’UE, e nonostante la Waterloo comunicativa della signora Lagarde, da Bruxelles sono venute parole più rassicuranti, parole che tuttavia non rassicurano per niente perché i fatti stanno andando in tutt’altra direzione. Un esempio? L’idea della BCE di volere acquistare una sorta di corona-bond dagli Stati aderenti al fine di pompare denaro liquido nelle loro casse per l’Italia sarebbe un disastro, perché poi quei soldi bisognerà restituirli alla fine dell’emergenza, sotto la spada di Damocle impugnata da una vecchia, mortifera conoscente dei greci: la troika!

La verità è che fino ad oggi è mancata una strategia operativa comunitaria sul terreno, e non soltanto nei forzieri delle banche, per affrontare l’epidemia da Covid-19, tant’è che alcuni Paesi hanno, di fatto, abolito Schengen e la stessa UE ha ripristinato i suoi confini esterni, mentre la Germania si prepara a sostenere con immense risorse di capitale pubblico le aziende tedesche a rischio per la crisi. Ciò in barba al trattato TFUE che proscrive il finanziamento pubblico alle aziende da parte degli Stati aderenti.

[su_heading size=”16″ align=”left”]Insomma in questo momento storico possiamo sostenere che l’Unione Europea non esiste più, se non come bancomat di Germania e Francia, nonostante le recenti dichiarazioni di amore al nostro Paese da parte della presidente della commissione europea, la signora dalla permanente sempre perfetta Urusla von der Leyen.[/su_heading]

O forse, chissà, l’UE non è mai esistita, come dimostra anche un altro, trascurato avvenimento di questi ultimi giorni: il presidente francese Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel hanno appena discusso in videoconferenza con Erdogan sulla revisione dell’accordo dell’Unione Europea e Turchia per la gestione dei migranti siriani, bypassando i governi dei Paesi più direttamente interessati come Italia, Malta e Grecia.

Ma, oltre a quello dell’Unione Europea, il Covid-19 ha fatto crollare anche il coltivato mito della buona globalizzazione perché, dopo uno scoordinamento totale contrassegnato dalle furbizie e dagli egoismi dei singoli Paesi di fronte a un pericolo che è anch’esso globalizzato, nell’immaginario collettivo si sta, pian piano, insinuando un dubbio: «Forse eravamo più al sicuro prima, quando esistevano i confini nazionali?».

Per l’ordine pubblico e la profilassi, poi, possiamo parlare di un altro drammatico flop del governo. Infatti, causa la solita gola profonda da Palazzo Chigi circa il decreto che, da lì a poche ore, avrebbe praticamente recintato idealmente la regione Lombardia per raffrenare la diffusione del contagio in altre parti del Paese, nella notte tra sabato e domenica di due settimane fa le stazioni ferroviarie lombarde sono state prese d’assalto da torme di miei conterranei che, con un bagaglio raffazzonato, con e senza biglietto, hanno preso d’assalto i treni e ogni altro vettore diretto verso il Sud. Perfino seduti per terra, gli uni a ridosso degli altri nei corridoi delle carrozze ferroviarie, impipandosene del contagio che tale promiscuità avrebbe veicolato e accresciuto: quelle che ho potuto vedere dalle foto e dai video circolanti sul web, erano scene da Seconda Guerra Mondiale quando, sotto l’incalzare dell’Armata Rossa, interminabili file di profughi tedeschi scappavano disordinatamente verso Occidente prima che i genieri facessero saltare i ponti sull’Elba. Erano immagini oggettivamente invereconde – e lo sostengo con sofferenza di meridionale – tant’è che il New York Times, in un urticante pippone, si è posto una domanda polemica: «Gli italiani sanno seguire le regole?». In ogni caso, i risultati nefasti di quella fuga non si sono fatti attendere: in queste ore il coronavirus sta esplodendo anche al Sud.

Ma ogni dittatura che si rispetti, anche le dittature virali, per poter continuare ad operare senza doversi confrontare ha bisogno di zittire il primo palladio della democrazia, ovvero il Parlamento, e schierare i militari nelle strade … esattamente com’è avvenuto in questi giorni. Nel caso, però, il Parlamento è stato molto collaborativo perché di fatto si è chiuso da solo avendo i parlamentari sospeso, per paura del contagio, le proprie attività, decidendo di affidare – loro che si sono fatti eleggere per dettare la linea guida al governo! – un Paese di sessanta milioni alle decisioni di un uomo solo. L’esercito nelle strade, poi, ci voleva prima, quando sarebbe stato utile, ci voleva nelle stazioni e negli aeroporti quindici giorni fa e non adesso che le meste autocolonne di camion targati EI non possono fare altro che dirigere verso i crematori della regione, con a bordo le solitarie e illacrimate salme dei caduti in una guerra che nessuno ha voluto prevedere e che, perciò, temiamo che alla fine nessuno vincerà veramente.

Nella notte tra sabato e domenica scorsi, dalla sua pagina di facebook abbiamo ascoltato Giuseppe Conte, un capo che mentre invita i cittadini a tenere la calma e nervi saldi, aspetta la mezzanotte per annunciare non l’apocalisse ma un provvedimento amministrativo che, peraltro, sarebbe entrato in vigore quarantotto ore dopo, come l’ennesimo giro di vite per contrastare il diffondersi del Covid-19 e, ovviamente, non ne siamo rimasti per nulla impressionati: quasi seimila morti fino ad oggi e questo se n’è venuto a dirci quanto è determinato il governo che sta facendo adesso ciò che avrebbe dovuto fare almeno un mese fa. E poi, in un sistema produttivo integrato come quella moderno dove, ad esempio, se si ferma la fabbrica dei cuscinetti non si possono produrre macchine per cucire – se non si producono macchine per cucire non si possono produrre mascherine – se non si distribuiscono mascherine la gente s’infetta, si contagia e muore, ha senso parlare di “rallentamento della produzione” in nome di un modello di contrasto al virus?

Peraltro, se abbiamo già superato i morti della Cina (un miliardo e mezzi di abitanti) forse il modello di contrasto al virus messo in piedi dal governo non è così efficace come millanta Conte… forse il modello da imitare doveva essere quello coreano, e cioè pensare a cinturare in tempo le aree infette e tamponarne subito tutti gli abitanti per capire in tempo chi fossero, oltre agli ammalati, i soggetti postivi e così bloccare loro invece che le attività produttive. E, per favore, non si venga a parlare del “tempestivo” provvedimento del governo di sospendere i voli da e per la Cina… la gente infatti ha continuato a viaggiare tra i due Paesi utilizzando banalmente scali intermedi: abbiamo un governo di furbi, non vi pare?

Il governo, dopo aver consentito la diffusione del virus in tutto il Paese con i suoi ritardi e leggerezze, adesso tende ad instaurare una sorta di dittatura virale per poter continuare a fare quelle cose che la scrittrice canadese Naomi Klein, nel saggio Shock Economy, chiama «L’ascesa del capitalismo dei disastri». La tesi sostenuta nel libro è che l’applicazione dei principi ultra liberisti che prevedono privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica, l’immigrazione selvaggia, l’eliminazione delle tutele per i lavoratori – come peraltro già avvenuto con la soppressione dell’articolo 18 – e la progressiva riduzione dei salari viene effettuata, e anche accresciuta, senza il consenso popolare, approfittando di uno shock provocato ad hoc per questo scopo, oppure scatenato da cause esterne o dall’incapacità politica dei governanti: nel caso italiano le ultime due cause ipotizzate dalla scrittrice, sono – ahinoi! – entrambe ricorrenti.

Chissà perché mentre scriviamo ci viene in mente anche il MES.
Ma quel che peggio, invece di sostenere moralmente gli eroi della sanità che in queste ore stanno operando, e anche morendo, per salvare la vita agli altri, qualcuno dei “Niente polemiche siamo patrioti” sta già approntando l’alibi post epidemia del governo incominciando a preventivare la ridiscussione della sanità lombarda e non, invece, di quella nazionale come sarebbe lecito attendersi. E la ragione è semplice: al disastro del SSN hanno allegramente contributo anche i governi di sinistra e la Lombardia, essendo governata dal Centrodestra da un quarto di secolo, si presta bene a fare da capro espiatorio anche se essa, beninteso, non è del tutto immune da qualche colpa sullo spinoso tema.

E questi sono i patrioti che abbiamo a Roma.