Il ‘rebate’ non si tocca: la Svezia non intende cedere sul meccanismo contabile creato per il Regno Unito e che consente ad alcuni Stati membri una sorta di sconto sui contributi versati alle casse dell’Ue. Lo ha ribadito il premier socialista di Stoccolma, Stefan Lofven, al termine di un incontro con il presidente il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che sta cercando di trovare un accordo tra i Paesi europei sul prossimo pluriennale dell’Unione, quello che coprirà il periodo 2021-2027.
Il grande problema di questo negoziato è il buco lasciato nei conti Ue dall’addio del Regno Unito. Senza i soldi di Londra, diversi programmi importanti, come quelli per la Politica agricola comune e per lo sviluppo delle regioni più povere, come quelle del Mezzogiorno italiano, potrebbero subire pesanti tagli. Una proposta della Commissione europea dello scorso ottobre prevedeva di coprire una parte del buco con un maggior impegno finanziario dei Paesi più ricchi, ossia quelli che hanno il reddito nazionale lordo più elevato. Ma Germania, Olanda, Austria, Danimarca e la stessa Svezia, il cosiddetto gruppo dei ‘frugali’, non intendono allargare i cordoni delle loro borse, né perdere gli sconti di cui hanno goduto finora, ossia i rebate.
La questione del ‘rebate’ – Il rebate è nato soprattutto per accontentare il Regno Unito, che ha sempre lamentato di versare all’Ue più di quanto riceve. E’ vero che lo stesso ha fatto sempre l’Italia, che è uno dei contributori netti del bilancio Ue. Ma in compenso il nostro Paese è tra quelli che ricevono indietro più risorse per agricoltura e sviluppo regionale. Per evitare tensioni e il rischio di una Brexit (che alla fine si è concretizzata lo stesso), Bruxelles e Londra hanno concordato una correzione al contributo britannico.
Questo ha dato la sponda ad altri Stati membri, che hanno chiesto e ottenuto delle simili agevolazioni. Ecco spiegato perché a Germania, Olanda e Svezia è stata accordata una riduzione sull’Iva versata a Bruxelles. Sempre Olanda e Svezia, insieme a Danimarca e Austria, godono inoltre di un sconto annuale sui contributi all’Ue. Lo sconto maggiore va ad Amsterdam ed è pari a 695 milioni l’anno. Questa correzione, che viene fatta ex post, serve a ridurre il margine tra quanto versato e quanto ricevuto indietro attraverso i vari programmi Ue.
La precedente Commissione europea, sostenuta da Italia e Francia (leader invece dei Paesi ribattezzati ‘amici della coesione’, ossia dei fondi Ue per le regioni più povere), ha proposto di eliminare queste agevolazioni, visto anche l’addio del Regno Unito. E di riequilibrare i contributi nazionali al bilancio comunitario sulla base dell’effettiva ricchezza degli Stati.
La (vecchia) proposta di Bruxelles – Nella comunicazione pubblicata a ottobre scorso, Bruxelles ha proposto un contributo complessivo dei 27 Paesi membri pari all’1,11% del Reddito nazionale lordo, contro l’1,13% dell’esercizio precedente. Ma i “frugali” non ci stanno e vorrebbero che l’asticella fosse abbassata all’1%. O anche meno. Germania, Olanda, Austria, Svezia e Danimarca lamentano di aver già dato troppo al bilancio comune dell’Ue e di non volersi svenare ulteriormente. Una polemica cui la Commissione ha risposto con un grafico: se in termini assoluti la Germania e l’Olanda, per esempio, figurano tra i massimi contribuenti del bilancio Ue, lo stesso non avviene quando si relativizzano i singoli contributi parametrandoli alla ricchezza nazionale.
Ecco dunque che i Paesi che hanno un Reddito nazionale lordo superiore alla media Ue contribuiranno (allo scadere dell’esercizio in corso, ossia nel 2020) per lo 0,7%, mentre i Paesi al di sotto della media Ue, quindi i meno ricchi, avranno versato contributi pari allo 0,85% dei loro redditi. In altre parole, i più poveri contribuiscono proporzionalmente di più al bilancio Ue. Per questa ragione, la Commissione propone di riequilibrare i conti e invertire la situazione: chi ha di più versi di più. Per la precisione, Bruxelles chiede un contributo complessivo di chi ha un Rnl sopra la media Ue pari allo 0,91%, mentre a chi sta sotto questa soglia viene chiesta una quota pari allo 0,90%.
Uno schema del genere comporterebbe una spesa maggiore per Germania e Olanda, tra gli altri. Mentre l’Italia, che è appena al di sotto della media Ue in quanto a Reddito nazionale lordo, ne potrebbe trarre dei vantaggi.
Le ragioni della Svezia – – Questa previsione viene contestata dalla Svezia: “Nel 2020 cinque Paesi contributori netti del bilancio Ue avranno un surplus netto del 50% – ha spiegato il premier Lofven – Se la situazione rimane tale fino al 2027, questo salirà al 75%. Non possiamo avere una situazione in cui cinque Paesi danno un contributo netto del 75%” al bilancio. E’ una guerra di cifre, insomma, in cui nessuna delle parti in causa sembra voler cedere.
A Bruxelles ci sarà un vertice straordinario apposito il prossimo 20 febbraio. Ma la possibilità di un’intesa resta bassa. “Credo che al momento i Paesi siano troppo lontani – ha detto Lofven – Non abbiamo nessun motivo per ritardare il processo, ma la cosa più importante sono i risultati: è meglio andare un po’ più lentamente ed essere sicuri di avere un buon risultato piuttosto che procedere velocemente e ottenerne uno cattivo”.