PADOVA – Negli ultimi quindici anni ha emozionato migliaia di studenti, strappando applausi commossi e collezionando inviti su inviti. Scuole, Comuni, associazioni: dal Veneto alla Lombardia fino alla Toscana, tutti hanno ascoltato con la pelle d’oca le testimonianze di Samuel Gaetano Artale von Belskoj-Levi, «uno degli ultimi sopravvissuti dal campo di sterminio di Auschwitz». Tutti, tranne alcuni dei massimi rappresentanti italiani delle comunità ebraiche. Perché oggi si scopre che per loro l’ingegner Artale, uno studio professionale a Padova e una popolarità sempre più diffusa in tutto il Veneto, è solo «un falsificatore, capace di raccontare una storia che in realtà non ha mai vissuto».
Il tema è delicato e negli ultimi anni chi nutriva sospetti ha sempre avuto paura di parlare per non soffiare sul fuoco dei negazionisti.
LE INCONGRUENZE
Artale racconta di essere nato a Rostock, in Germania da una famiglia ebreo-prussiana. Ma le verifiche fatte dal Gazzettino, successive ad un misterioso fascicolo-denuncia trovato nella propria cassetta della posta da un signore veneziano appassionato di storia ebraica, dicono altro. Da una visura camerale della Camera di Commercio emerge che l’ingegnere, proprietario della Artale Group fondata a Padova nel 2007, sia nato a Laino Borgo in provincia di Cosenza il 22 marzo 1937.
Ora queste verifiche vengono accompagnate da una pesante e qualificata presa di posizione. È quella di Gadi Luzzatto Voghera, storico veneziano, direttore del Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano. Negli archivi di Rostock non c’è traccia della sua famiglia e gli ebrei di quella città sono stati tutti deportati due anni prima di quel che racconta. Nei Sonderkommando ad Auschwitz non hanno mai lavorato bambini, come lui sostiene.
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