di Elena Barlozzari – Giovanna e Livio, di 89 e 64 anni, sono mamma e figlio. Vivono ad Ostia da sempre e la loro “casa” è un box auto minuscolo. Senza finestre, riscaldamenti né servizi igienici.
Un’odissea iniziata circa quattro anni fa. “Quando ho perso il lavoro – ricorda Livio – non potevamo più pagare l’affitto e così ci siamo trasferiti in questo box, doveva essere una soluzione temporanea ma purtroppo siamo ancora qui”. Per Giovanna non è stato facile. “Prima avevo una bella casa, piena di mobili e con una cucina vera”, dice tra i sospiri. I due sopravvivono grazie alla sua pensione d’invalidità e alla reversibilità del marito, poco più di 7mila euro l’anno. Bastano appena per provvedere allo stretto necessario e pagare l’affitto di questo posto auto. E nonostante Livio si affanni alla ricerca di un lavoro, sinora ha trovato solo porte chiuse. “Riesco a mettere insieme poche decine di euro al mese”, ci confessa.
Sopravvivere in condizioni del genere è una sfida quotidiana. Il freddo è insopportabile. Giovanna si guarda le mani segnate da chiazze rossastre e piccole ferite. “Mi sono venuti i geloni da quando viviamo qui, prima non li avevo”, racconta mentre siede davanti ad una stufetta elettrica. Unica fonte di calore del box. “La temperatura media oscilla tra i dodici e i quattordici gradi, ma nei periodi più freddi arriva anche a sette”, spiega Livio.
Il caso di questa famiglia è conosciuto dalle istituzioni, nessuno però ha ancora mosso un dito. Gli unici che si sono mobilitati per aiutare mamma e figlio sono i volontari dell’associazione Decimo Solidale. “A luglio 2018 li abbiamo aiutati a presentare domanda per ottenere un alloggio popolare ed hanno ottenuto il massimo punteggio però la graduatoria non scorre”, denuncia Biagio Caputo, presidente dell’associazione. La miriade di solleciti inoltrati nei mesi successivi è rimasta lettera morta.
“Si riempiono la bocca di lotta alla povertà – prosegue Caputo puntando il dito contro Comune e X Municipio – e poi guarda come costringono a vivere le persone”. “Io – ci dice Giuseppina con la voce rotta dalla commozione – chiedo solo un lavoro per mio figlio e una casa, perché così non si può più andare avanti”. L’anziana non teme per se stessa, ma per il futuro di Livio. “Quando io non ci sarò più cosa ne sarà di lui?”, si domanda lasciandosi andare ad un pianto sconsolato.