di Alberto Negri – notizie tiscali – Sull’accordo di Berlino non ci sono le firme di Sarraj e Haftar (che c’era ma non ha partecipato ai lavori come ammesso da Conte). Le parti hanno raggiunto solo un accordo verbale, mediato, sul monitoraggio della tregua. Questo è l’unico passo avanti, il resto sono chiacchiere di vanesi personaggi politici che coprono l’enorme difficoltà a raggiungere un’intesa politica. In primo luogo sull’embargo delle armi che non si capisce neppure chi lo dovrebbe far rispettare. Non c’è un’intessa neppure su una futura missione militare internazionale per separare le parti in conflitto.
Tentativo mediatico
Ma c’è un grande interesse da parte dell’Europa, dell’Onu e della cancelliera tedesca Merkel a far passare quanto avvenuto a Berlino come una svolta epocale nel conflitto libico. Si tratta in realtà di un tentativo assai mediatico per coprire la realtà dei fatti: la tregua era stata già raggiunta dalla Russia di Putin e dalla Turchia di Erdogan. Berlino ha espresso degli auspici sul futuro prossimo della Libia che somigliano più a tenui speranze che a reali possibilità di intesa tra Tripolitania e Cirenaica.
Influenze straniere
Inoltre le influenze straniere invece di ridursi, come auspicato dall’Onu, a Berlino sono venute fuori con tremendi liti tra la Turchia che sponsorizza Sarraj, da una parte, e dell’altra Egitto ed Emirati arabi che sostengono il generale Khalifa Haftar.
Berlino, accordo sulla Libia (Ansa)
A Tripoli si combatte ancora
Mentre era in corso la conferenza di Berlino a Tripoli proseguivano i combattimenti, anche se in scala ridotta, tra gruppi armati rivali, mentre la produzione di petrolio _ unico risorsa nazionale _ è stata praticamente azzerata.
Ci sono stati scontri lungo la strada dell’aeroporto internazionale di Tripoli, lo scalo aereo in disuso dal 2014 e situato nella parte meridionale della capitale libica, nonostante la tregua sostanziale in vigore dallo scorso 12 gennaio. Le forze del Governo di accordo nazionale (Gna) hanno aperto il fuoco contro un veicolo militare dell’Esercito nazionale libico (Lna) lungo Al Khalatat Street, controllata dall’Lna”. Gli uomini fedeli al generale Khalifa Haftar hanno risposto con un colpo di mortaio che ha colpito un’unità di stoccaggio di petrolio dove sono di stanza le unità del Gna” del premier Fayez al Sarraj.
Haftar chiude il petrolio
Haftar intanto ha chiuso i terminali di esportazione del greggio nella Sirte mentre il movimento di protesta “Rabbia del Fezzan” del sud della Libia ha rivendicato poco fa la chiusura dei giacimenti petroliferi di Sharara ed El Feel dove opera l’Eni. Si tratta di un nuovo, duro colpo per l’industria petrolifera della Libia dopo la chiusura degli altri giacimenti e porti petroliferi nella Libia centrale e orientale, che avevano causato uno stop di almeno 800 mila barili di petrolio al giorno. Mustafa Omar, capo del sindacato dei lavoratori nel giacimento petrolifero di Sharara che si trova a circa 200 chilometri a ovest di Sebha, ha confermato la chiusura degli impianti nella zona di Al Riyayna e la città di Zintan. L’impianto è gestito dalla joint venture Akakus, che riunisce la libica Noc, la spagnola Repsol, la francese Total, l’austriaca Omv e la norvegese Stato il e produceva circa 300 mila barili di petrolio al giorno prima di essere fermat. Il vicino giacimento di El Feel è invece gestito dalla Mellitah Oil and Gas, una joint venture tra la Noc e la compagnia italiana Eni.
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Pertanto, Gentiloni ha detto “Chapeau alla Merkel” per che cosa?