Le ultime cronache riportano gli arresti che hanno colpito i clan mafiosi attivi nei Nebrodi, nel Messinese, che avevano messo le mani sugli aiuti diretti dell’Ue agli agricoltori. Ma anche gli affari sporchi della camorra nel settore del latte. Notizie che confermano quanto la criminalità organizzata faccia leva sull’agroalimentare per consolidare i propri affari e il proprio potere. Un business che secondo Coldiretti ammonta a 24,5 miliardi di euro.
La cifra, frutto dell’analisi dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, tiene conto di tutta la catena, dai campi e gli allevamente fino alla distribuzione e alla ristorazione. Le mafie, sottolinea Coldiretti, operano attraverso furti di attrezzature e mezzi agricoli, racket, abigeato, estorsioni, o con il cosiddetto pizzo anche sotto forma di imposizione di manodopera o di servizi di trasporto o di guardiania alle aziende agricole, danneggiamento delle colture, aggressioni, usura, macellazioni clandestine, caporalato e truffe nei confronti dell’Unione europea.
Per quanto riguarda le truffe all’Ue, colpisce la collusione tra gruppi criminali, professionisti e persone legate alle stesse organizzazioni di agricoltori. Nei Nebrodi, per esempio, i mafiosi si accaparravano terreni per ottenere in cambio i fondi dei pagamenti diretti previsti dall’Ue per aiutare gli ‘agricoltori’ attivi. E questo grazie all’aiuto di un notaio compiacente e di funzionari dei Centri di assistenza agricola, i Caa, organismi gestiti proprio dalle organizzazioni agricole e che istruiscono le pratiche per l’accesso ai contributi europei per l’agricoltura. Non è la prima volta che i Caa finiscono nel mirino delle indagini sulle truffe all’Ue.
Ma le mafie non puntano solo alle risorse pubbliche: il business è anche lungo la filiera agroalimentare. I boss, spiega Coldiretti, condizionano anche il mercato della compravendita di terreni e della commercializzazione degli alimenti stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l’esportazione del nostro vero o falso made in Italy, la creazione all’estero di centrali di produzione dell’Italian sounding e lo sviluppo ex novo di reti di smercio al minuto anche compromettendo in modo gravissimo la qualitaà e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio made in Italy. Senza dimenticare i danni alla concorrenza e al libero mercato legale, che soffoca l’imprenditoria onesta.