Il presidente americano, con l’intento di tutelare il proprio Stato, commissiona con nonchalance l’omicidio di un generale iraniano; ma, per quanto tale azione possa ritenersi da qualcuno aberrante, nessuno negli States si sogna di processarlo.
In italia, invece, dove un giudice di pace ha più potere di un intero esecutivo, stiamo tutti appesi alla volontà di 3 giudici, palesemente e orgogliosamente politicizzati, i quali, malgrado la richiesta di archiviazione della procura catanese, bramano di processare l’ex ministro dell’Interno, che, dopo aver soccorso un barcone di migranti in acque maltesi, dopo averli rifocillati ed aver fatto sbarcare donne e “bambini”, ha avuto l’ardire di trattenerli a bordo di una nave militare per 4-giorni-4 al fine di determinarne la ricollocazione in ambito europeo.
Incapaci di contrastare la linea politica degli avversari, nonché sopraffatti e atterriti dal timore reverenziale nei confronti della magistratura, le forze (anzi le debolezze) governative si accingono a dare il benestare.
I primi pronti al via libera sono i pentastellati, i quali, in fase di distorsione spazio-temporale, relegano all’oblio l’aver sempre condiviso con la Lega la politica impropriamente denominata dei “porti chiusi”. Ma l’appecoronamento grillino, per il quale l’infallibile magistratura va rispettata sempre e comunque qualunque minchiata faccia, è meno ipocrita del farisaico atteggiamento di Renzi.
Infatti costui, quando i giudici gli hanno calpestato l’orticello con miriadi di perquisizioni ai finanziatori del partito, tanto mirabolanti quanto inutili, si è scagliato, lancia in resta, contro lo strapotere giudiziario. Ma poi, quando lo stesso strapotere con analoga operazione funambolesca vuole ora processare un ministro a lui avverso, il prode leaderino fiorentino vilmente si genuflette agli ermellini.
Ben più grave, seppur risaputa, è la posizione dei monaci circestensi del PD, i quali da sempre giocano di sponda con la magistratura a loro affiliata, con lo scopo di criminalizzare le idee politiche non condivise.
Ma l’apice della comicità la si raggiunge con il presidente del consiglio (anzi, dei consigli), il quale non sapeva, non c’era, e se c’era dormiva. E chi se ne frega se l’art 95 della costituzione obbliga il capo del governo a coordinare l’attività dei ministri, rendendosi responsabile di ogni azione governativa. Chi se ne importa se ai sensi dell’art 40 del codice penale “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Lui di quella nave attraccata al porto non se ne era accorto perché era occupato alla collocazione dei sequestrati. Chiaro, no? Il suo ragionamento fila, seppur parabolico. Ma che dico, parabolico? Paraculo!
Ma quello che non si spiega è per quale astruso motivo non si voglia procedere alla votazione in giunta dell’autorizzazione al processo staliniano, rimandandola al termine delle terrificanti elezioni in Emilia Romagna.
Perché, se si è convinti della colpevolezza di Salvini, se si è certi che costui abbia agito non per tutelare i confini ma per un bieco interesse personale, se si è sicuri che egli abbia agito di nascosto senza che alcun componente del governo si sia accorto della sua sadica criminalità, non vantare subito nei confronti degli elettori italiani tale meritoria decisione?
La risposta è solamente una: la codardia! L’imbelle pavidità che si manifesta nei confronti dello strapotere giudiziario è identica a quella che si nutre nei confronti dei cittadini.
E tale circostanza rivela l’unico loro pregio: la coerenza. Costoro, infatti, temono sia i potenti, sia gli inermi cittadini.
Insomma, deboli con i forti e deboli…con i deboli.
Se non è coerenza questa!