La Gregoretti, scrive il Tempo in edicola martedì sette gennaio, è una nave militare. Quando fu inviata a recuperare i clandestini, ricevette l’ordine dal Comando Generale delle Capitanerie di Porto, al cui vertice c’è l’ammiraglio Ammiraglio Giovanni Pettorino, il quale, a sua volta, prende ordini dal ministro delle infrastrutture e dei trasporti, che in quel momento era Danilo Toninelli di M5S. Se Toninelli avesse ordinato a nave Gregoretti di ormeggiare alla banchina d’un porto militare e sbarcarvi i clandestini, il Viminale e Matteo Salvini non avrebbero avuto alcuna autorità per impedirlo.
Sarebbe quindi stato sufficiente che Giuseppe Conte, Danilo Toninelli e persino Elisabetta Trenta avessero deciso di aprire un porto militare per vanificare la decisione di Salvini di fare attendere a bordo della Gregoretti i clandestini, mentre venivano fatti gli accertamenti di rito e si negoziava la loro distribuzione in Europa; atti di governo d’altronde del tutto legittimi. Se la decisione di non sbarcarli non fu condivisa, come affermano Pd e M55, con profondo dissenso nel governo contro Matteo Salvini, un’altra autorità avrebbe potuto intervenire e disporre legittimamente lo sbarco, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella sua qualità costituzionale di comandante supremo della Forze armate e massimo garante dei diritti costituzionali. Questo non è avvenuto e qualcosa deve pur significare.
Il ministro dell’Interno ha il diritto dovere di operare tutti gli accertamenti possibili in ordine alla sostenibilità per la pubblica sicurezza dell’accoglienza di un così rilevante numero di clandestini. Qual è la differenza se tali accertamenti sono condotti sui clandestini a bordo d’una nave militare oppure ristretti in un centro di accoglienza a terra? Perché nel secondo caso non c’è il sequestro di persona che invece si contesta nel primo? www.liberoquotidiano.it