Bechis: quasi tutti i guai dell’Italia dipendono dai trattati UE

di Franco Bechis – – tv.iltempo.it

Guai a un approvarlo a scatola chiusa! Altrimenti parte lo spread. La solita scusa, questa volta dichiarata apertamente dal capodelegazione del Pd al governo, Dario Franceschini, per dire che dobbiamo prenderci così come è la bozza di riforma del MES, il meccanismo di stabilità europeo che regola l’intervento nelle crisi finanziarie dei singoli Paesi, che siano crisi degli Stati o delle loro principali banche. In questi anni ripetendosi “altrimenti i mercati”, oppure “eh, se no lo spread sale”, l’Italia e i suoi governi si sono rovinati il futuro con una incredibile vocazione al suicidio, arrivata al suo culmine con l’approvazione del fiscal compact e l’inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio.

Qui conta relativamente chi abbia sbagliato e perché. Tanto più che questa sindrome di Stoccolma ha colpito praticamente tutti i premier, le maggioranze, i partiti e i movimenti politici. Perché una cosa è ormai terribilmente chiara: i guai dell’Italia di questi venti anni hanno sempre avuto all’origine la scelta di aderire criticamente a trattati europei senza discuterne i meccanismi, che hanno finito sempre per essere punitivi per questo paese. Dalle modalità dell’ingresso nell’euro in poi l’Italia ha sempre fatto la scelta sbagliata nel modo sbagliato e nel momento sbagliato. E all’origine di quasi tutti i suoi mali in questo ventennio c’è proprio il sistema di regole europee a cui ha aderito in questo modo sempre acritico e irresponsabile. Per questo motivo dall’anno 2000 in poi l’Italia- qualunque sia stato il governo in carica, e qualsiasi ciclo economico abbia avuto di fronte, è sempre stata fanalino di coda nei suoi fondamentali economici sia nell’area dell’euro che in quella più larga europea.

L’errore sta per essere ripetuto ancora un a volta dall’attuale governo di Giuseppe Conte, che si avvia a una firma acritica della riforma del Mes su spinta in particolare del Pd. Eppure nel giugno scorso alla vigilia del vertice sull’euro del 21 giugno il Parlamento su spinta soprattutto del M5s, e con la condivisione della Lega, aveva chiesto al premier di impugnare quella bozza di riforma, perché troppo penalizzante per l’Italia, costretta a sborsare subito 14 miliardi di euro di capitale, e poi nel caso a garantire 125 miliardi di euro di debito ulteriore avendo la certezza matematica di non potere usufruire di quelle stesse risorse in caso di bisogno per la finanza pubblica o per le proprie banche. Il Blog delle Stelle chiese a Conte di esercitare un veto sulla riforma. Il Pd fu ancora più duro, con un intervento di Lia Quartapelle che spiegò come dicendo sì l’Italia si sarebbe impiccata.

Non sappiamo come andò quel 21 giugno perché Conte non informò nè i cittadini nè il Parlamento italiano dell’esito di quell’incontro. Il Pd oggi- e anche io suoi uomini al ministero dell’Economia, a cominciare dal ministro Roberto Gualtieri- dicono che nel testo furono poi inserite le osservazioni che aveva fatto l’Italia. Se qualcuno ha mai fatto osservazioni, è chiaro che era in quel momento afono, e nessuno l’ha sentito. Perché la bozza di allora è praticamente identica a quella di adesso, totalmente nei passaggi che fanno diventare l’Italia grande donatore di sangue, impedendole però di riceverne mai le servisse una urgente trasfusione. Quindi qualcuno non la conta giusta. Immagino che il premier quel 21 giugno si sia preoccupato di arginare una offensiva più immediata: la richiesta avanzata da altri paesi di una procedura di infrazione contro l’Italia per le sue condizioni di finanza pubblica. Possiamo comprendere l’uomo stretto fra due fuochi. Ma non il premier che costretto a scegliere avrebbe dovuto puntare sull’altro fronte, quello del Mes, che è assai più importante. E in ogni caso avrebbe dovuto spiegare al suo ritorno tutto davanti al Paese, cosa che non ha fatto.

Il latte versato ormai è quello, ed è inutile stare a piangerci su. Ma non tutto è perduto, come ostinatamente continuano a sostenere i vertici e i ministri del Pd. Quella bozza non è ancora firmata e l’Italia può fare capire agli altri paesi che da oggi per quanto stretta imboccherà con decisione la strada di una revisione di quel testo modificando ogni meccanismo automatico che verrebbe a penalizzarla. Altrimenti la firma sotto la riforma del trattato non la metterà nessuno, spread o non spread. Così si comporta una classe dirigente che ha cuore il bene e il futuro dei cittadini del suo paese. E da questa storia si capirà se ce l’abbiamo una classe dirigente così…