La toponomastica come continuazione della lotta politica con altri mezzi. In Italia ci siamo abituati. E non poteva che essere così in una nazione in cui, più che governi, si sono alternati regimi. Ognuno dei quali ha inaugurato se stesso attraverso la damnatio memoriae di quello precedente. Ma da Genova la cronaca segnala un salto di qualità. E ci dice che l’Anpi (e chi sennò?) ormai s’indigna a prescindere. Finora i partigiani e i loro epigoni li abbiamo visti scatenarsi ad ogni intitolazione di strada ad un personaggio estraneo all’album di famiglia della Resistenza. A Genova, invece, contestano anche l’ubicazione.
Nella fattispecie quella della targa intitolata a Fabrizio Quattrocchi che il Comune ha deciso di apporre sul ponte pedonale sul Bisagno. Quattrocchi è morto nel 2004, ucciso da islamisti in Iraq. Era lì ingaggiato da una società di sicurezza che si occupava di scorte. Ma l’Anpi s’indigna comunque e pretende di sospendere la cerimonia già fissata per il prossimo 2 dicembre alla presenza della sorella del contractor italiano. Il motivo? La passerella della discordia collega corso Galliera e piazzetta Attilio Firpo.
E proprio qui casca l’asino. Perché Firpo è in realtà Attila, nome di battaglia di un capo partigiano fucilato dai nazisti nel 1945. Un accostamento che l’Anpi di Genova bolla come «pieno di contrapposizioni». Eccone il motivo: «Firpo è stato ucciso per liberare la propria patria, mentre Quattrocchi era una persona impegnata su teatri di guerra stranieri per scelta professionale». Un pretesto, in realtà.
L’Anpi contesta l’ubicazione: «È vicino al partigiano Attila»
Ma tant’è: gli arcigni guardiani della memoria sequestrata non conoscono eccezioni. Sanno di aver costruito sulla menzogna e perciò si rivoltano persino contro la memoria di un giovane morto per mano di terroristi. Firpo sarà senz’altro morto per la patria. Ma Quattrocchi, che sfidò i suoi aguzzini dicendo «vi faccio vedere come muore un italiano», non gli è da meno. L’amministrazione di Genova non poteva fare scelta migliore. Lo penserebbe – ne siamo certi – anche il comandante Attila: meglio la compagnia silente di un giovane che ha saputo morire che le chiassose proteste dei soci Anpi buoni solo a seminare zizzania.
Marzio Dalla Casta – secoloditalia.it