Deindustrializzare e desertificare l’Italia: ecco a che serve la plastic tax

di Antonio Amorosi

Se la sinistra colpisce la pancia è etico e va bene, può farlo dal giorno alla notte e senza vaselina. Se lo fa Salvini è un potenziale dittatore fascista. Perché la sinistra è riflessiva.

Una delle misure più contestate nel documento di bilancio dell’attuale governo Pd-M5S è la cosiddetta plastic tax. Un’imposta sugli imballaggi di plastica: un euro al chilo in più rispetto alle tasse già pagate (oggi si parla di farla scendere a 0,50 euro ma non ne modificherebbe l’effetto). Inevitabilmente si tradurrà in costi finali per i consumatori che mossi dall’ambientalismo infantile stile Greta Thunberg potrebbero anche accettarli. In realtà la tassa peggiora le condizioni dell’ambiente e desertifica un comparto industriale che sarà costretto a licenziare e/o emigrare in Paesi limitrofi all’Italia. Un’impresa tipo che ha un fatturato di 80 milioni di euro e “produce” di media 22.000/23.000 tonnellate di plastica si ritrova con la plastic tax a dover pagare di botto altri 22/23 milioni di euro di tasse annue che si sommerebbero a quelle già dovute. Per i tempi adottati dal governo non c’è stato modo di pensare a progetti di rinconversione del settore. L’imposta diventa già applicativa ad aprile del 2020, farà perdere migliaia di posti di lavoro ed è stato calcolato che porti nelle casse dello Stato 1,8 miliardi di euro nel 2020 e 2 a partire dall’anno successivo. Entrate che probabilmente poi spariranno. Ne abbiamo parlato con Luca Iazzolino, presidente di Unionplast, Federazione gomma plastica (rappresenta circa 3000 imprese del settore dei trasformatori della plastica) e con il manager del settore Marco Omboni.

 

Iazzolino: “La plastic tax è un abominio liberticida. I danni che questo governo sta facendo all’intero settore sono incalcolabili, ci vorranno anni prima di rialzarci”.

 

Perché incalcolabili?

I.: “È una tassa spropositata che ha l’effetto della bomba atomica nel mercato, va a finire nelle casse dello Stato e non a ripulire i mari dalla plastica o a costruire nuovi impianti di riciclo. Anche solo l’annuncio di una mannaia del genere ha avuto come effetto una vertiginosa contrazione degli investimenti nel settore”.

 

Come hanno reagito le industria?

I.: “L’industria ha bisogno di intermediazione, investimenti, tempi lunghi altrimenti questa tassa ha solo l’effetto di far scappare gli investitori e di deindustrializzare, altro non c’è. Siamo in una situazione drammatica. I mercati economici si muovono subito, qui non si tratta del prossimo anno e dell’entrata in vigore. Sono tutti spaventati. Ci vorranno anni per riprenderci. Sta succedendo la stessa cosa successa con la nautica. Le aziende hanno chiuso o sono state vendute ai cinesi. C’ hanno messo anni per vedere fatturati a livelli di decenza”.

 

Qualcuno parla di una tassa per l’ambiente…

I.: “Il Corriere della sera ha parlato di tassa etica. Come con la sugar tax e la digital tax ma questo neologismo non ha niente di etico o ecologista se in sostanza si dice aboliamo la plastica e usiamo più alberi per fare imballaggi di carta usa e getta. L’etica non c’è distruggendo le foreste. Serve solo a metterci in cattiva luce. L’opinione pubblica è contenta ma l’opinione pubblica non studia ingegneria ambientale e se non dicono cosa è veramente sostenibile per accostare modernità e sostenibilità ci vorranno anni per riprenderci”.

 

E i tempi?

I.: “Noi lo abbiamo saputo con l’annuncio del 16 ottobre, guardi bene le date, 16 ottobre annuncio, 4 novembre bozza di legge, 1 aprile 2020 entrata in vigore. Non abbiamo avuto il tempo di respirare o di spiegare niente, nessuno ci ha fatto parlare. In nessun Paese del mondo occidentale succede una cosa del genere ed hanno messo una tassa simile così velocemente. Inizialmente non ci hanno neanche convocato nelle commissioni. Ci trattano come i cinesi o gli indiani. Ma non è la nostra plastica a finire nella pancia delle balene. Questa cosa però i grandi media non la dicono”.

 

Mi sembra più un delirio etico stile talebani….

Omboni: “Le racconto uno scambio con una responsabile della commissione europea sulla necessità di questa campagna contro la plastica in Italia. Le ho detto che l’Italia è tra i Paesi più all’avanguardia per il riciclo della plastica, ed è vero, per gli investimenti nel settore e che comunque i responsabili dell’inquinamento da rifiuti plastici negli oceani sono superpotenze a livello internazionale come la Cina, non noi, e lei mi ha risposto che comunque l’Europa deve dare l’esempio. E per questo allora metti in ginocchio un intero settore economico in Italia che conta circa 3000 imprese e un giro di 12-15 miliardi di fatturato?”

 

Su quanta gente ricadranno gli effetti?

Omboni: “E’ un’imposta di fabbricazione che partirà da aprile 2020 e riguarderà tutti i prodotti di packaging sul territorio italiano. Il settore dei trasformatori imballatori conta circa 3000 imprese dell’imballaggio, sono 50.000 gli addetti diretti e altri 200.000 che lavorano nell’indotto. Si chiedono 2,2 miliardi circa a regime, per un intero anno quindi non per il 2020 perché dovrebbe iniziare da aprile, a nemmeno 3000 imprese. È evidente che non c’è la forza finanziaria per reggere. Ed è un imposta di fabbricazione su cui poi bisogna calcolarci l’iva, quindi aumenta la base su cui calcolarla”.

Iazzolino: “Altroché non viene aumenta l’Iva…. E’ un’imposta di fabbricazione che ha un valore più alto della nostra materia prima, per cui viaggia al valore della nostra fatturazione Italia. E poi ci sono le sanzioni”.

 

Di che tipo?

I.: “Hanno preso come modello la normativa sulle imposte di fabbricazione dei superalcolici. Se lei non versa l’imposta di fabbricazione praticamente rischia fino a 10 volte il non versato. Quindi sostanzialmente se noi non versiamo una tassa che è alta quanto il nostro fatturato rischiamo fino a 10 volte il fatturato stesso”.

 

Ci faccia degli esempi.

I: “In Senato si è già fatto quello di un’azienda media di Vicenza che fattura 120 milioni di euro e loro hanno calcolato che con la plastic tax dovrebbero pagare un’imposizione annua di 60 milioni di euro, pensi lo sforzo finanziario di aziende che non ce la faranno. Ma poi il rischio di questa azienda è 600 milioni, allora mi trovi l’investitore o la banca che in questo momento da fiducia a questa azienda! Che è una meraviglia, che è di un settore tecnologico estremamente all’avanguardia ma che gli hanno messo in capo qualcosa per farla morire”.

 

Ma voi già pagate le tasse…

I: “Si e quando andiamo a fatturare ci autotassiamo e versiamo al sistema Conai, come aziende circa mezzo miliardo di euro all’anno. Noi investiamo nell’ambiente”.

 

Per cosa? Cosa fa il Conai?

I: “E’ l’istituto che si preoccupa del riciclo e della raccolta differenziata di rifiuti di materie plastiche da imballaggio, quindi di questi 500 milioni, cosa ne facciamo? Circa 350 milioni li versiamo e vanno ai Comuni di tutte le città d’Italia per fare la raccolta differenziata, per aiutarli a farla e sostanzialmente ne hanno anche una forma di agio. Quindi noi in fattura dovremmo mettere il prezzo del prodotto, la tassa Conai su cui si paga l’Iva, e anche un euro al chilo come plastic tax. E’ evidente che diventa antieconomico e quindi è ovvio che come diceva Marco Omboni sarà sempre più conveniente utilizzare imballaggi di carta e cartone che però, mi lasci dire, non avranno le nostre stesse caratteristiche perché un prodotto alimentare dentro la carta/cartone, dovrà usare più conservanti per poterlo utilizzare. Non si riesce a modificare l’atmosfera e proteggere la conservazione così bene come si fa con l’imballaggio con materie plastiche vergini. Oppure pensi allo spreco delle derrate alimentari. Si sta deindustrializzando il settore di un Paese senza capire che direzione si sta prendendo”.

 

Che succederà?

I: “Di recente parlavo in Assolombarda con un grosso produttore di bevande zuccherate francesi e mi diceva ‘guarda se sarò colpito dalla sugar tax e ora dalla plastic tax, anche di un solo centesimo, noi chiudiamo in Italia e importiamo dalla Francia’”.

 

Alternative? 

I: “Partendo dalla normativa, è una tassa che viene esclusa solo se lei utilizza bioplastiche. Ma in generale non sono meno inquinanti”.

 

Allora perché non è una tassa che farà bene all’ambiente?

I: “Primo perché per fare bene all’ambiente quei soldi non devono finire nelle casse dello Stato, come abbiamo detto prima, ma li devono usare in maniera indirizzata ad esempio per fare più impianti di riciclo. In secondo luogo le bioplastiche noi non le possiamo usare molto spesso, perché spiego meglio, noi siamo trasformatori, non vogliamo porci contro le bioplastiche ma non sono la soluzione per salvare il pianeta. Queste funzionano solo se le vado a riporre nell’impianto di compost industriale ma se lei le abbandona nel mare e nel bosco non solo non si degradano facilmente e ci mettono anni per decomporre ma in più lei va a dare un messaggio sbagliato all’utente finale. Cioè l’utente finale è convinto che se le butta in mare quelle si sciolgono. Naturalmente non ci metteranno 100 anni come una plastica naturale ma nemmeno in poco tempo, come se fosse nel compost di riciclo industriale. Per cui rischiamo che l’utente finale disimpari anche la raccolta differenziata”.

 

Perché secondo lei c’è allora un intervento di questo tipo da parte del governo? 

I: “Per scarsa cultura, scarsa informazione. Si vuole dare l’immagine di una Green new deal che non c’è, e la si ammanta di essere una cosa buona come fa il Corriere chiamandole ‘tasse etiche’. Le si vuole ammantare di positività perché l’Italia vuole rispondere al fabbisogno di maggior riciclo non adeguando il sistema Paese in termini di impianti. La via italiana è la deindustrializzazione, cioè ci stanno dicendo fate meno packaging, deindustrializzate. Altro non c’è”.

 

C’è una strategia sotto?

I: “Non lo so. Di certo con questa tassa ci blocchiamo e non investiamo più. Facciamo un favore ai croati e ai tedeschi. Anche loro hanno da raggiungere gli obiettivi del 2030 e investono molto nel nostro settore. Eppure a livello mondiale noi italiani delle plastiche siamo considerati un’eccellenza. Siamo tutti dalla stessa parte del tavolo per difendere l’ambiente, ma così stiamo demonizzando un prodotto invece che dei comportamenti”.

 

Quali sono questi comportamenti errati?

I: “Sono quelli di chi butta la bottiglietta nel fiume e quelli del sistema Paese non ha sufficienti impianti di riciclo come invece servirebbero. Da ultimo, tanto per complicare ancora di più il quadro, anche la commissione europea sta pensando da due anni ad una plastica tax. Il legislatore italiano l’ha presa da lì l’idea. Sostanzialmente è una multa. L’Europa da un target di riciclo per ogni Paese membro e quindi per ognuno che non raggiunge il target di riciclo la comunità europea da una multa al sistema Paese. La tassa è prevista per ogni tonnellata riciclata e si dovrebbe pagare un’imposta di 800 euro circa. Anche la tassa europea non è destinata a ripulire i mari ma va all’Europa tra le finanze e sostanzialmente a compensare la Brexit”.

 

E i nostri Paesi vicini hanno la stessa tassa?

I: “Non i più vicini come Germania e Croazia ma vista l’azione del parlamento europeo ci si sta pensando. Quindi quanto possiamo sopportare ancora? Qui il rischio è che gli investitori scappino dal nostro Paese è dalle nostre aziende”.

 

Dal governo sostengono che potrebbero abbassare la tassa…

I: “Noi non siamo il male, non rappresentiamo l’inferno, in Germania rappresentiamo la modernità, solo qui in Italia rappresentiamo lo schifo. Non siamo d’accordo. Si parla sui giornali di abbassarla e ne parlavo anche al ministero delle Finanze, ma per me comunque non va bene, anche abbassarla è sbagliato: se lei mi tassa i nostri prodotti vuol dire che li considera inquinanti quanto gli scarichi di un diesel, invece noi cerchiamo di rispettare i target richiesti dai nostri clienti e ora c’è la sostenibilità, ci impegniamo anche per questo. E’ come trattarci alla stessa stregua di chi inquina l’aria con un carburante.

 

E per l’introduzione della tassa?

I: “Basta vedere le accise sull’energia, sui carburanti che cambiano tutti gli anni. Intanto metto la tassa e poi nessuno la toglierà. L’Italia è un paese di incertezza normativa, l’anno prossimo sarà 0,20 poi quello successivo 0,30 o 0,40. Noi dobbiamo rifiutare imposte di fabbricazione perché poi cambieranno ogni anno”.

 

Con la definizione di “tassa etica” l’opinione pubblica è diventata contro di voi….

I: “Le racconto un aneddoto per spiegare come è influenzata l’opinione pubblica. Un dipendente che lavora da me, della plastica, un quadro, va ad una festa dell’azienda farmaceutica dove lavora la moglie. Una festa forse per l’anniversario di questa azienda e la facevano in un meraviglioso castello. I dipendenti erano tutti sorridenti e orgogliosi. Allora il mio dipendente mi scrive un messaggio la sera stessa. L’ho tenuto. Guardi. ‘Luca dimmi perché io non posso essere anch’io orgoglioso per l’azienda per cui lavoro?’”. Ecco il livello di manipolazione a cui siamo arrivati.

www.affaritaliani.it