Giustizia, manca poco più di un mese all’alba. Il primo gennaio scatta la prescrizione senza fine e la maggioranza si balocca. Il tema continua a provocare scintille fino all’incendio finale. La prescrizione sadica decisa da Bonafede – subita ieri dalla Lega e oggi dal Pd – è figlia di una politica che soffre un complesso di sudditanza nei confronti della magistratura. Le regole del processo vogliono continuare a deciderle i togati al posto di chi deve approvare le leggi.
Se la magistratura straborda, e si arriva persino a negare la prescrizione nonostante esista da qualche parte un diritto a non essere appesi per tempi infiniti alla giustizia, è colpa della politica. Di una politica senza etica e senza anima.
Il coraggio che manca alla politica
Dobbiamo dirlo con chiarezza. Il garantismo deve cibare gli affamati di giustizia per i cittadini comuni e non essere usato come una clava da una classe politica troppo spesso pescata con le mani nel sacco. Se il dibattito continua tra la curva giustizialista e la tribuna garantista, non andiamo da nessuna parte.
Certo che indigna vedere spezzare carriere politiche brillanti per un avviso di garanzia. Ma se in Parlamento si approvasse finalmente una norma per stabilire che se quell’avviso di garanzia non aveva senso, chi l’ha firmato paga, probabilmente ci sarebbe meno spregiudicatezza. E ne guadagnerebbe il servizio giustizia. Chi scrive si dimise da ministro non per un avviso di garanzia ma per un articolo del Corriere della Sera che annunciava un’indagine su un reato completamente inventato, come si dimostrò ben sette anni dopo. Era evidente, ma i magistrati andarono avanti. Un governo barcollò per un’accusa senza senso, eppure non pagò nessuno per quel clamoroso errore giudiziario.
Perché nella giustizia non deve pagare chi sbaglia? – La politica, se vuole essere forte, deve avere il coraggio di sanzionare chi sbaglia. Non deve pagare lo Stato, ma chi rovina una persona.
E non succede questo, come afferma giustamente Piero Sansonetti – e auguri per il ritorno del Riformista – la delega a governare attraverso le inchieste se la prende tutta la magistratura, per ricordare quel che disse al Secolo mesi orsono Alfredo Mantovano. Il paradosso è che ognuno diventa garantista per i suoi e giustizialista con gli avversari. E il Paese smette la capacità di indignarsi.
Andrebbero distinti i ruoli. La politica deve pensare prima di tutto a tutelare i cittadini normali, poi se stessa. Perché altrimenti viene meno la forza dell’esempio. Perché nessuno deve dire una parola in Parlamento sul caso di una deputata, Giuseppina Occhionero, che non risponde del suo strano rapporto con l’assistente parlamentare in galera per mafia? Non c’entra nulla il garantismo, ma l’opportunità politica. Tutti muti, giornali compresi. Più terra terra: è normale che un imputato per reati gravi debba tornare a presiedere l’assemblea comunale di Roma Capitale? Si può dimettere un ministro, lui no? Qual è la differenza? Solo perché Marcello De Vito viene dai Cinquestelle?
Si perde la capacità di indignazione, quando nel nome del garantismo si vuole difendere chiunque e nel nome del giustizialismo si pretende più galera per tutti. Abbiamo avvertito un baccano infernale per la benda attorno agli occhi di uno degli assassini di un carabiniere. Dovevano fargli gli applausi?
La politica non offre soluzione perché ha smesso per la gran parte di offrire l’esempio. E non si rende conto che ogni anno, e non da oggi mille poveri cristi finiscono in cella o ai domiciliari per poi risultare innocenti. Ecco la vergogna su cui non si sente mai una parola. Quei mille non sono tutti assessori…