In Emilia-Romagna si registra l’ennesimo episodio di intolleranza e tentativo di censura, questa volta ancor più grave perché avvenuto all’interno di un’aula scolastica nei confronti di una docente. A farne le spese una professoressa di religione che è stata aggredita da uno studente di quinta superiore che le ha lanciato una bottiglietta d’acqua e sputato. La sua colpa? Aver raccontato la storia di “Giovannino”, il bambino abbandonato all’ospedale S. Anna di Torino perché nato con una malattia genetica. L’obiettivo della professoressa di religione era discutere con i propri studenti dei temi di attualità come l’adozione, l’aborto, la responsabilità dei genitori. Argomenti di cui non si è riusciti a parlare perché lo studente l’ha aggredita sostenendo che nessuno volesse affrontare quei temi in classe. Di fronte al tentativo della professoressa di continuare la sua lezione, lo studente ha iniziato a inveirle contro, spostando sedie e banchi fino all’aggressione con il lancio di una bottiglia e lo sputo.
Mentre si cerca di derubricare l’episodio come una semplice alterazione del ragazzo, in realtà si tratta di un’aggressione a sfondo politico da quanto apprendiamo parlando con fonti vicine alla scuola e alla professoressa (di cui non riveliamo il nome per privacy).
D’altro canto viviamo l’eredità del Sessantotto che mette in discussione l’autorità dei professori unita alla dittatura del politicamente corretto che impedisce anche solo di affrontare temi come la sacralità della vita, la tutela dei minori e l’aborto. Come spiega Enrico Castagnoli, consigliere comunale a Cesena e docente di religione: “da insegnante sperimento in prima persona come su certi temi oggigiorno persista una narrazione dominante contro la quale non è ammesso il dissenso. Parlare del valore della vita, del dramma dell’aborto o di altre tematiche legate alla famiglia, all’educazione o ai figli porta ad una esposizione coraggiosa ma pericolosa”.
Ci auguriamo che lo studente venga bocciato e che, essendo maggiorenne, risponda anche in un tribunale del suo gesto. Oppure se a subire l’aggressione è una professoressa di religione, la violenza è meno grave?