Milano, 18 novembre 2019 – La svolta è arrivata nel marzo 2018, quando re Ewuare II, massima autorità religiosa del popolo Edo in Nigeria, ha pronunciato un editto contro i riti voodoo che vincolavano alla schiavitù sessuale le donne vittime della tratta di esseri umani. Una “liberazione” salutata come un epocale primo passo verso il progresso che, sulle strade lombarde, non ha sortito alcun effetto. «Non abbiamo registrato cambiamenti – sottolinea il tenente colonnello Piergiorgio Samaja, capo del Centro operativo di Milano della Dia –, i meccanismi dello sfruttamento continuano a perpetuarsi e le ragazze sono ancora terrorizzate dalla magia nera».
Della questione si è occupato Il Giorno. La prostituzione nigeriana, evidenziano gli investigatori, è «più cruenta» rispetto a quella controllata da albanesi e romeni. Le donne in alcuni casi con il tempo diventano a loro volta “maman”, sfruttatrici di altre ragazze reclutate nei villaggi della Nigeria e portate in Europa seguendo la rotta libica, legate agli aguzzini dal rito voodoo e debiti da saldare. Un meccanismo emerso anche in inchieste come quella condotta dalla Guardia di finanza, partita da Palermo, che la scorsa estate ha scoperto basi operative di un gruppo criminale a Bergamo e Dervio, nel Lecchese.
A ottobre, invece, una nigeriana di 17 anni ha denunciato ai carabinieri i suoi aguzzini, che l’avevano avviata alla prostituzione sulle strade dell’hinterland milanese. «Droga, prostituzione e sfruttamento dell’immigrazione clandestina restano gli interessi principali per la criminalità nigeriana in Italia – prosegue Samaja –, in Lombardia teniamo alta l’attenzione da più di dieci anni, anche se la presenza non è radicata come in Sicilia o in Campania, a Torino o Bologna».
L’esistenza di una mafia nigeriana in Lombardia è stata certificata nelle aule giudiziarie con i processi scaturiti dalle operazioni contro il gruppo Eiye nel Bresciano e conclusi con le prime condanne per associazione a delinquere di stampo mafioso. «Per la Lombardia è stato un precedente importante – sottolinea Samaja – oltre alle sentenze più recenti di Torino». Non “cani sciolti” ma componenti di un’organizzazione ribattezzata “cosa nera”, suddivisa in fazioni o “cult”, caratterizzata da cruenti riti di affiliazione. Una mafia «tribale e spietata, difficile da decifrare» anche perché finora i collaboratori di giustizia si contano sulle dita di una mano. «I soldi sporchi vengono mandati in Nigeria attraverso money transfer – prosegue il dirigente della Dia – e anche con la “hawala”, il sistema informale di trasferimento del denaro usato nei Paesi musulmani».
Un indicatore, evidenziato dalla Dia, è l’incremento delle rimesse verso il Paese africano che l’anno scorso hanno fatto registrare un + 164% rispetto al 2017. Soldi sporchi mimetizzati tra denaro guadagnato con il lavoro. E il timore di un ulteriore salto di qualità è nell’affermazione della Nigeria come luogo di passaggio per la cocaina trasportata dal Sudamerica all’Europa.