Acciaio turco: così i rottami tedeschi invadono l’Italia

Il circolo vizioso dell’acciaio turco: come i rottami tedeschi provocano l’invasione in Italia. In Paesi come Olanda e Germania sono scarti, ma in Turchia, dove vengono spediti e venduti, diventano di nuovo acciaio per essere poi reimmessi nel mercato, soprattutto quello italiano. Dove battono anche la concorrenza locale di un settore ormai in crisi. E’ il circolo vizioso dell’acciaio: i rottami partono dall’Ue, soprattutto dal Nord Europa, per essere comprati dai produttori turchi. Che poi, una volta riconvertiti gli scarti, esportano l’acciaio nella stessa Ue, per un business che nel 2018, tenendo conto anche dell’export di ferro, ha raggiunto i 7 miliardi di euro.

L’interrogazione – Il problema è che questa forma di economia circolare provoca una sorta di concorrenza sleale in Italia, dove i prezzi dell’acciaio turco hanno gioco facile a battere quelli dell’acciaio di casa. E’ questa la denuncia dell’europarlamentare della Lega, Elena Lizzi, che ha sollevato il caso depositando due interrogazioni alla Commissione europea, anche alla luce dell’intervento militare di Ankara in Siria. Nelle interrogazioni, Lizzi chiede che, per fare pressione su Recep Tayyip Erdoğan, i Paesi Ue esportatori di rottami contenenti acciaio dovrebbero bloccarne la vendita alla Turchia.

I principali esportatori – Come sottolinea l’eurodeputata nella sua interrogazione, secondo i dati forniti da Turkistat su 20 Paesi esportatori globali, 14 sono membri dell’Ue e in particolare la quota di esportazioni comunitarie risulta pari al 60,5% del totale nel 2018, con un incremento che tocca il 64% nel periodo gennaio – agosto 2019. Gli Stati che esportano maggiormente in Turchia sono in ordine: Olanda, Gran Bretagna, Belgio, Germania, Romania e Francia. In particolare, la Germania è diventata il quarto esportatore di rottame di acciaio nel 2019 rispetto all’ottavo posto occupato nel 2018.

L’acciaio turco in Italia – E l’Italia di tutto questo flusso di materiali finisce per essere il destinatario finale visto che il valore dell’import di acciaio e ferro dalla Turchia nel nostro Paese, secondo i dati della Commissione, nel 2018 è stato di 1 miliardo di euro, un settimo dell’intero valore di questo pezzo di export turco in tutta l’Ue. Di fatto, siamo i maggiori importatori Ue di acciaio e ferro dalla Turchia.
Gli aiuti di Stato

“La produzione in Turchia è facilitata rispetto ai Paesi dell’Ue, poiché assistita da ingenti aiuti di Stato e non soggetta ad obblighi ambientali in merito ai limiti di emissione di anidride carbonica, di captazione dei fumi e di abbattimento delle polveri”, sottolinea poi Lizzi facendo notare che così Ankara “produce, quindi, a costi minori e crea concorrenza sleale nel mercato interno di Paesi come l’Italia per mano (inconsapevole?) di alcuni Stati membri”.

Le regole Ue – Inoltre le direttive che regolano la natura del rottame ferroso non lo ascrivono a materia prima, non rendendolo quindi assoggettabile all’applicazione delle clausole di salvaguardia comunemente utilizzate per l’esportazione di materie prime. Lizzi chiede per questo alla Commissione “se il rottame ferroso possa essere considerato come materia prima nel processo di produzione dell’acciaio e come tale sottoposto all’applicazione delle clausole di salvaguardia e se non sia necessario imporre gli stessi obblighi in materia di salvaguardia ambientale ai prodotti importati da Paesi terzi”, conclude.

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