di Alessandro Gnocchi
Nel dibattito sulle radici cristiane dell’Europa c’è una domanda che resta sempre in sospeso. La pone Olivier Roy come titolo del suo nuovo saggio edito da Feltrinelli: L’Europa è ancora cristiana? I numeri, abbondantemente citati dal sociologo francese, non lasciano spazio a troppi dubbi: no, l’Europa non è più cristiana.
Il crollo dei praticanti è netto quasi dappertutto: presto il numero dei praticanti, nell’Europa occidentale, sarà inferiore al 10 per cento della popolazione. Il 73 per cento dei francesi tra i 25 e i 34 anni giudica la religione irrilevante per la propria vita. C’è ancora una discreta percentuale di cittadini che si dichiarano cristiani senza partecipare ai sacramenti, senza avere alcuna nozione e soprattutto senza credere.
Il cristianesimo dunque è diventato un riferimento identitario e per nulla religioso. Al posto della fede, abbiamo la fiducia in un gruppo di valori che discendono (dovrebbero discendere) dal cristianesimo. Ma è davvero così o quei valori sono usciti dal perimetro culturale del cristianesimo? Roy ha pochi dubbi. La secolarizzazione dell’Europa procede in parallelo alla nascita dello Stato-nazione. Lo Stato prende il sopravvento sulla Chiesa, la separazione dei poteri diventa una regola, la religione è progressivamente confinata alla sfera privata.
Gli anni Sessanta sono il punto di svolta che conduce alla scristianizzazione. Per due fatti: il Concilio Vaticano II, che va incontro alla secolarizzazione; il Sessantotto, che passa come un rullo compressore sui valori tradizionali e inaugura, forse senza volerlo, l’era dell’individualismo, della soddisfazione dei desideri, del relativismo incontrastato, della fine di ogni gerarchia (nella cultura, in famiglia e ovunque), del materialismo a tutto spiano. Tutta roba inconciliabile col Vangelo ma accettata, completamente o in parte, sia da molti credenti sia da chi sventola i rosari sotto il naso degli elettori.
L’immigrazione di massa dai Paesi islamici è il secondo choc culturale. Arriva in Europa una religione con una visione totalmente diversa della vita pubblica, una religione che chiede di essere riconosciuta e ascoltata. Il terrorismo islamista complica la situazione. Si aprono problemi abissali. A esempio, come si può ribadire la centralità del cristianesimo dopo aver sposato il relativismo?
Che ruolo devono assumere lo Stato e l’Unione europea: arbitri imparziali o tutori della cristianità? Domande alle quali per ora nessuno ha risposto in modo organico. Nello spazio lasciato libero dalla politica si inserisce la magistratura, a partire dalla questione del velo esplosa in Francia nel 1989. Chiuso il libro resta un brutto presagio: quanto sopravvivono le civiltà che hanno perso la dimensione religiosa, nel nostro caso il cristianesimo?
Cediamo la parola ad Alexis de Tocqueville, uno che distingueva bene il potere temporale da quello spirituale: «La libertà vede nella religione la compagna delle sue lotte e dei suoi trionfi; la culla della sua infanzia, la fonte divina dei suoi diritti. Essa considera la religione come salvaguardia dei costumi; i costumi come la garanzia delle leggi e il pegno della sua durata» (La democrazia in America).