Migranti, l’accoglienza non puo’ essere imposta a danno e spese di chi accoglie

di Vittorio Zedda – – Accogliere qualcuno, soccorrerlo e dargli un aiuto umano e solidale è una libera scelta, un moto dell’animo e un atto spontaneo di amore verso chi è in difficoltà. All’aiuto e all’accoglienza si oppongono nel peggiore dei casi l’indifferenza e l’egoismo, espressioni dell’umana imperfezione e non solo. In altri casi vi si oppone l’impossibilità effettiva di esprimere concreta solidarietà a tutti coloro che ne hanno bisogno, specie quando appare indifferibile l’urgenza dell’intervento a favore di alcuni e non di altri, perché l’emergenza non esclude valutazioni, per quanto difficili e dolorose, di giustizia e di priorità nella destinazione differenziata, nel tempo e nelle risorse, degli interventi d’aiuto.

Nella sostanza, e nel vivere quotidiano, si aiuta se si può e si vuole e non si può negare ad alcuno la facoltà di scegliere chi aiutare, quando, quanto e quanti, come e perché. L’aiuto e l’accoglienza, come è ovvio, devono essere raccomandate, consigliate, incoraggiate e sostenute in ogni modo lecito e opportuno, ad ogni livello civico, sociale ed educativo. Ma non possono essere imposte e tanto meno spinte al punto di causare nocumento o danno a chi accoglie, perché l’eroismo è una grande virtù, ma non il frutto di una imposizione, e nemmeno un obbligo morale, o civile, o giuridico. Altra cosa sono le forme di aiuto politicamente e giuridicamente predisposte dallo stato sociale per il supporto dei cittadini o di chiunque altro abbia titolo ad usufruirne; altro ancora sono le forme di sostegno, salvataggio e soccorso umanitario condivise o sostenute o sancite dal diritto internazionale.

Da anni però l’Europa, e l’Italia in particolare, si trova a fronteggiare un fenomeno migratorio, caratterizzato dal susseguirsi di situazioni emergenziali incontrollabili. Sorvolo per ora sulle cause del fenomeno migratorio, certamente non così spontaneo come si vuol far credere per imporre un presunto dovere all’accoglienza illimitata e indiscriminata. Ci sono evidentemente limiti umanamente, politicamente e giuridicamente invalicabili. Ma, com’è noto, “impossibilia nemo tenetur”.

Ciò premesso si chiede: dove sta scritto che al cittadino contribuente possa essere imposto l’obbligo a sue spese, o a suo danno, di fornire un aiuto ed un’accoglienza illimitata, incontrollabile e indifferenziata non solo a soggetti in stato di necessità, ma a chiunque voglia in qualsiasi momento, per qualsiasi motivo e in qualsiasi numero entrare nello spazio nazionale, territoriale e abitativo di sua legittima pertinenza? Dove sta scritto l’obbligo di accettare e sottomettersi ad un’invasione?

Il colonialismo, condannato dalla storia e rifiutato dal mondo civile, da chi è stato surrettiziamente riabilitato a nostro danno in altre forme e perché? Chi e perché vuole e guida al suicidio la civiltà europea? E’ del tutto evidente l’impegno di alcune correnti ideologiche e politiche ad imporre l’immigrazione in Italia e altrove per fini molto discutibili, mentre si continua a rinviare o non attuare forme di solidarietà ed intervento economico volte a migliorare le condizioni di vita e l’economia di paesi che, spopolandosi per l’emigrazione, sempre più s’immiseriscono a vantaggio di chi punta a esercitare su quelle terre altri non dichiarati interessi. L’emigrazione infatti aggrava i problemi dei paesi di provenienza e crea nuovi problemi ai paesi d’ingresso in rapporto alla consistenza numerica dei migranti.

L’integrazione fra autoctoni e immigrati è possibile solo nell’ambito di rapporti numerici da definire, senza trascurare l’ulteriore difficoltà non solo numerica di integrare la componente islamica nella società occidentale. E nelle scuole si sperimenta sempre più spesso nelle classi il superamento di questo rapporto, che porta alla perdita d’efficacia della prestazione didattica ed educativa, quando non anche alla vanificazione del processo d’integrazione. Si assiste così ad un processo di non integrazione degli immigrati e di disintegrazione del contesto civile, sociale, culturale e politico degli autoctoni. Ma questo non ferma l’ideologia immigrazionista, che, nel folle disegno di sostituzione etnica e di annientamento del contesto civile, culturale e identitario preesistente, cerca di aggirare l’ostacolo delle politiche, peraltro deboli, che tentano di controllare e regolamentare l’immigrazione.

Ne consegue il tentativo di svuotare l’alto significato civile e giuridico della cittadinanza, mirando a forme di cittadinanza pensate specificamente per integrare (si fa per dire) i nuovi arrivati. I quali, diventati così italiani a tutti gli effetti, potranno aprire le porte alla marea dei ricongiungimenti famigliari, ivi comprese, e già succede, alle famiglie poligamiche con tutte le conseguenze, immaginabili e inimmaginabili.

Dallo ius sanguinis, si è passato allo ius soli e allo ius culturae, e quest’ultima appare la “pensata” più soggetta a tutte le forme possibili di aggiustamenti all’italiana, adattabile a possibili scorciatoie, sofisticazioni e aggiustamenti, più o meno mercantili, di comodo. Un’integrazione fondata e realizzata attraverso una “non finta” formazione culturale, oltre che professionale, è certamente un’idea teoricamente accettabile come mezzo per il conseguimento di una cittadinanza, ma le ipotesi di percorsi formativi di cui si è giunti finora a conoscenza, realizzate tramite “corsi” e “corsetti” di poche ore non accreditano al progetto alcuna serietà , ma semmai palesano una volta di più l’intenzione boldriniana di fare degli immigrati “ i portatori di uno stile di vita che sarà presto anche il nostro stile di vita”. Se così fosse, sarebbe roba da darsi alla macchia, per dar vita ad una nuova resistenza.

Vittorio Zedda