Imola – A pochissimo tempo dalla nostra pubblica richiesta di un cambio di passo nell’affrontare le problematiche sanitarie, l’AUSL ha dichiarato attraverso un comunicato stampa che “è difficile assumere gli specialisti”. In una successiva intervista alla consigliera comunale Cappello, abbiamo apprezzato la pronta sollecitazione a far sì che la conservata autonomia dell’AUSL imolese non divenga una scatola vuota per un ospedale depotenziato nei fatti, stante il ritardo nella nomina dei nuovi primari e la carenza di personale, in particolare medici specializzati. E’ un giusto appello che condividiamo nei principi, ma solo parzialmente nei destinatari.
Pur ritenendo dovuto l’interessamento da parte della Giunta imolese, ricordiamo che la linea gerarchica a cui rispondono i direttori generali dell’AUSL non è quella del sindaco, bensì della Regione e del relativo Assessorato alla sanità. E’ la Regione che nomina i direttori generali e che eroga i premi di risultato a seguito della valutazione annuale del loro operato. Non sarebbe dunque opportuno chiedersi anche cosa stiano facendo l’assessore alla Sanità Venturi e il governatore della Regione Bonaccini per garantire il funzionamento del nostro ospedale? Sono soprattutto loro che hanno strumenti efficaci per sollecitare l’azione delle AUSL.
Per quanto riguarda la carenza di specialisti, invece, ci stupiamo dello stupore della consigliera Cappello che si chiede “come mai ci siano difficoltà di reclutamento di medici specializzati in quasi tutti i reparti”. Questo è un problema nazionale dibattuto da anni, non solo nei siti e giornali specialistici ma anche sulla grande stampa; delle molteplici cause accenniamo, per ragioni di spazio, solo alle principali. Anzitutto, a causa del blocco del turnover, l’Italia nel SSN ha una popolazione di professionisti medici particolarmente in là con gli anni; l’esodo pensionistico in corso non può essere compensato dai nuovi specialisti per colpa dell‘errata programmazione delle borse di studio, impostata dai governi negli anni passati con la sola preoccupazione di ridurre i costi. Uno studio recentissimo dell’ANAAO (Associazione Medici e Dirigenti del SSN) ha stimato che in Emilia-Romagna nel 2017 mancavano, rispetto al 2012, 435 specialisti e ha previsto che di qui al 2025 ne mancheranno 597.
In secondo luogo, il lungo blocco contrattuale del settore pubblico fa sì che molti specialisti emigrino in altri Paesi (soprattutto europei) ove le retribuzioni sono più alte, oppure preferiscano impiegarsi nel settore privato ove il lavoro “è meno stressante, si affronta una casistica di elezione, non critica, e garantisce un’alta remunerazione” (comunicato stampa ANAAO, settembre 2019).
E’un effetto non certo inatteso che la incentivazione del settore sanitario privato riduca il numero dei lavoratori disponibili ad operare nel pubblico. Purtroppo, in presenza di vincoli di bilancio che prevalgano sul benessere della popolazione, questo effetto è perfino voluto per impoverire, rendendoli sempre più marginali, i servizi sanitari nazionali.
In concreto, parlando della riorganizzazione della nostra sanità, vogliamo ribadire la necessità non più rinviabile di avviare il percorso partecipativo, la cui organizzazione è stata esplicitamente demandata dalla Città Metropolitana alle autorità sanitarie imolesi.
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