Cannabis light, perché i negozi delle polemiche restano aperti. Li chiuderò tutti, uno a uno”, aveva detto Matteo Salvini riferendosi ai negozi di cannabis light, dopo la sentenza della Cassazione che, lo scorso maggio, aveva imposto il divieto di vendita di prodotti derivanti dalla canapa. Non sta andando così, perché i giudici chiamati in causa dai titolari dei negozi sono di parere diverso: la cannabis light non è drogante e la legge permette la vendita.
I tribunali italiani danno dunque ragione a produttori e commercianti di infiorescenze della cosiddetta “erba light”, cioè con un contenuto di Thc tra lo 0,2 e lo 0,5%. Vediamo perché.
Perché i giudici riaprono i negozi di cannabis light – – Dopo la sentenza della Cassazione, il copione è sempre lo stesso, con la polizia che sequestra la merce e fa chiudere il negozio di cannabis light. Il negoziante fa ricorso, chiedendo l’intervento della magistratura che controlla il contenuto di Thc (delta-9-tetraidrocannabinolo), cioè l’elemento “drogante” e lo trova al di sotto di 0,5%. Qui la legge parla chiaro: è quello il limite che stabilisce se il prodotto della canapa è stupefacente oppure no. A maggio la Cassazione aveva imposto “la vendita o la cessione a qualunque titolo dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis (olio, foglie, infiorescenze e resina)” salvo che “tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”.
L’attuale legge sulle droghe stabilisce che la cannabis è da considerarsi light se il Thc è al di sotto della soglia di 0,5%. In Italia manca una norma che stabilisca come si dimostra l’effetto-droga. L’unico riferimento di legge resta quindi lo 0,5% di Thc: sotto questa soglia non è da considerarsi uno stupefacente. Ecco perché i magistrati ordinano i dissequestri e fanno riaprire i negozi messi sotto sequestro dal decreto Salvini.