Di Giuseppe Fontana (www.stanza101.org) – Secondo Lenin, la volontà popolare è da considerarsi sempre miope o sbagliata, pertanto le aspirazioni di un popolo, o di una comunità, sono da ritenersi importanti solo in rapporto agli effetti di dove esse possano indurre quest’ultimo ad andare. Di conseguenza, un Leader non ha nulla da imparare, in relazione ai fini, dal popolo che guida. Trascorsi quasi cento anni dalla dipartita del fondatore della via russa al marxismo, a ben guardare le paure democratiche- e più specificatamente quelle elettorali- scaturite dall’attuale crisi ferragostana, ciò che risulterebbe evidente, e allo stesso modo decisamente preoccupante, è l’attualità del pensiero leninista in seno al concetto, che determinate forze politiche progressiste, esprimono in relazione all’applicazione reale degli ideali “democratici” e, ancor più nel particolare, per coloro che ne esaltano addirittura la forma “diretta”.
Tralasciando i dettami costituzionali, e ciò che essi attribuiscono al Parlamento in termini di cura degli affari pubblici, in un ordinamento di ispirazione democratico, il fulcro di ogni agire partitico dovrebbe, sempre e comunque, tenere fortemente in considerazione il concetto di volontà del corpo elettorale, indipendentemente se essa risulti gradita o meno. Ciò a cui invece oggi stiamo assistendo, con il delinearsi di un accordo governativo tra PD-M5S-LeU, rappresenta un palese atto di sopraffazione, superbia e saccenteria che umilia le reali istanze popolari, già peraltro chiaramente espresse in occasione delle elezioni europee del 26 Maggio. Tale responso, anche se ufficialmente non vincolante in un’ottica parlamentare interna, non potrebbe, in un Paese normale, non essere tenuto fortemente in considerazione, soprattutto se relazionato alla creazione, de facto, di una nuova compagine governativa.
Appare altresì chiaro che, tale nuovo “abominio”, si tramuterebbe facilmente in un enorme carrozzone da circo la cui unica caratteristica comune, oltre l’odio nei riguardi di Salvini, sarebbe quella di rappresentare la somma di tutte quelle forze partitiche uscite puntualmente sconfitte dalle elezioni politiche ed europee. Tutto ciò, in barba ad oltre la metà degli italiani che, dati alla mano, del Ministro degli Interni ne farebbe, molto probabilmente, il nuovo Presidente del consiglio. E’ forse questo il trionfo e fine ultimo della democrazia? Ovvero il governo dei pochi contro l’opinione dei molti? Ci si domanda inoltre, che fine abbia fatto il vessillo dell’Honestà intellettuale da sempre sfoggiato dalla furia giacobina pentastellata che, pur di mantenere ben saldo il proprio deretano su di una onorevole e confortante poltrona, nascondendosi dietro banali sofismi, maschera un patetico terrore nei confronti del sommo giudizio popolare, al quale illusoriamente si credeva forse immune.
Un governo Fico, rappresenterebbe un emblematico quanto ambiguo compromesso (di nome e di fatto), per tentare di bloccare quell’inarrestabile avanzata dei consensi che, attorno all’agenda dettata dalla Lega, appare sempre più consolidarsi. Con il trascorrere dei giorni, tale funesta ipotesi, viene inoltre accompagnata dal solito pietoso siparietto del “ce lo chiede l’Europa” che casualmente trova facile sponda dai soliti “responsabili”di turno che, in nome del loro reale concetto di “democrazia”, ne compiono abilmente e paradossalmente scempio. Del resto, della relativizzazione, la sinistra progressista con il trascorrere dei decenni, ne ha fatta una vera e propria arte che come una metastasi tutto ingloba e nulla esclude, democrazia compresa.
Partendo dal presupposto che le idee siano trascendenti, essenza e modello delle cose, se critica all’attuale ordinamento vi debba essere, invitiamo vivamente i “sedicenti democratici” a lasciar fottere Lenin ed abbracciare piuttosto posizioni molto più salubri che, nella figura di Platone, vedono degno compimento.