Mani “pulite”? Lettera di Gabriele Cagliari prima del suicidio

“La Repubblica”, 23 gennaio 2004 – Da Cagliari a Gardini i suicidi di Tangentopoli –
MILANO – Il suicidio di Alessandro Bassi scuote l’inchiesta Parmalat e riporta inevitabilmente alla memoria altri drammatici episodi analoghi che hanno contraddistinto il periodo della tangentopoli milanese e del lavoro dei magistrati di ‘Mani Pulite’. Nomi illustri hanno segnato, con il suicidio, quell’ inchiesta. Da Gabriele Cagliari, ex presidente dell’Eni, a Raul Gardini, il padre di Enimont, a Sergio Moroni, deputato socialista.

La prima ‘vittima’ del clamore di tangentopoli è Renato Amorese, ex segretario del Psi di Lodi che, il 17 giugno 1992, si toglie la vita con un colpo di pistola alla tempia, pochi giorni dopo essere stato interrogato dall’allora pm Antonio Di Pietro su una tangente da 400 milioni di lire.
Il 2 settembre dello stesso anno, si uccide, nella cantina della sua casa di Brescia, il deputato del Psi Sergio Moroni: aveva ricevuto due avvisi di garanzia dai magistrati milanesi che avevano anche inviato alla Camera la richiesta di autorizzazione a procedere.

Nel giro di tre giorni, nel luglio del 1993, si verificano altri due suicidi clamorosi: il 20 luglio si uccide nel carcere di San Vittore l’ex presidente dell’Eni Gabriele Cagliari, detenuto da oltre quattro mesi. Lo trovano con la testa infilata in un sacchetto di plastica.
Mentre stanno per svolgersi i funerali di Cagliari, tre giorni dopo, di prima mattina nella sua abitazione milanese nella centralissima piazza Belgioioso, Raul Gardini, ormai entrato nel mirino degli inquirenti, si uccide sparandosi un colpo di pistola.

ESTRATTO DELL’ULTIMA LETTERA DI GABRIELE CAGLIARI AI FAMILIARI PRIMA DI SUICIDARSI

“Miei carissimi Bruna, Stefano, Silvano, Francesco, Ghiti: sto per darvi un nuovo, grandissimo dolore. Ho riflettuto intensamente e ho deciso che non posso sopportare più a lungo questa vergogna. La criminalizzazione di comportamenti che sono stati di tutti, degli stessi magistrati, anche a Milano, ha messo fuori gioco soltanto alcuni di noi, abbandonandoci alla gogna e al rancore dell’opinione pubblica. La mano pesante, squilibrata e ingiusta dei giudici ha fatto il resto.

L’obbiettivo di questi magistrati, quelli della Procura di Milano in modo particolare, è quello di costringere ciascuno di noi a rompere, definitivamente e irrevocabilmente, con quello che loro chiamano il nostro “ambiente”. Ciascuno di noi, già compromesso nella propria dignità agli occhi della opinione pubblica per il solo fatto di essere inquisito o, peggio, essere stato arrestato, deve adottare un atteggiamento di “collaborazione” che consiste in tradimenti e delazioni che lo rendano infido, inattendibile, inaffidabile: che diventi cioè quello che loro stessi chiamano un “infame”

La convinzione che mi sono fatto è che i magistrati considerano il carcere nient’altro che uno strumento di lavoro, di tortura psicologica, dove le pratiche possono venire a maturazione, o ammuffire, indifferentemente, anche se si tratta della pelle della gente. Il carcere non è altro che un serraglio per animali senza teste né anima.

Già oggi i processi, e non solo a Milano, sono farse tragiche, allucinanti, con pene smisurate comminate da giudici che a malapena conoscono il caso, sonnecchiano o addirittura dormono durante le udienze per poi decidere in cinque minuti di Camera di consiglio.

Sento di essere stato prima di tutto un marito e un padre di famiglia, poi un lavoratore impegnato e onesto che ha cercato di portare un po’ più avanti il nostro nome e che, per la sua piccolissima parte, ha contribuito a portare più in alto questo paese nella considerazione del mondo. Non lasciamo sporcare questa immagine da nessuna “mano pulita”. Questo vi chiedo, nel chiedere il vostro perdono per questo addio con il quale lascio per sempre.

A tutti lascio il ricordo di me che vorrei non fosse quello di una scheggia che improvvisamente sparisce senza una ragione, come se fosse impazzita. Non è così, questo è un addio al quale ho pensato e ripensato con lucidità, chiarezza e determinazione.

Non ho alternative … Gabriele”