“Utilizzare in tutti i documenti di lavoro (relazioni, circolari, decreti, regolamenti, ecc.) termini non discriminatori. Meglio quindi l’uso di sostantivi o nomi collettivi che includano persone dei due generi: avanti con la parola ‘persone’ al posto di ‘uomini’. Lo impone la nuova direttiva firmata dal ministro della Pubblica Amministrazione, Giulia Bongiorno, e dal sottosegretario con delega alle Pari Opportunità, Vincenzo Spadafora. Anche il lessico conta, dunque.
E nella P.a non valgono licenze poetiche ma regole che possano aiutare a riequilibrare i rapporti di forza. Lavoro che, appunto a fine giugno, ha portato a un vademecum congiunto, partendo da un fatto: l’obiettivo della parità di trattamento e di opportunità tra donne e uomini “non ha trovato finora un adeguato livello di applicazione”. Segue un elenco di “concerete linee di azione”.
Tra i primi punti c’è l’adozione di iniziative “per favorire il riequilibrio della presenza di genere nelle attività e nelle posizioni gerarchiche ove sussista un divario fra generi non inferiore a due terzi”. Le amministrazioni pubbliche, si legge, inoltre “devono curare che la formazione e l’aggiornamento del personale, ivi compreso quello con qualifica dirigenziale anche apicale, contribuiscano allo sviluppo della cultura di genere, anche attraverso la promozione di stili di comportamento rispettosi”.
Insomma vocabolario e galateo devono essere consoni al principio del “gender mainstreaming”. Concetto che vale anche per i numeri. Tra gli obblighi si annovera, infatti, la produzione di “tutte le statistiche sul personale ripartire per genere”, contemplando “tutte le variabili considerate (comprese quelle relative ai trattamenti economici)”.
A titolo sperimentale viene poi inserita nelle linee guida la “certificazione di genere”. Una sorta di bollino di qualità dell’ufficio, che su base volontaria, può ricorrere allo strumento come testimonianza del “constante impegno profuso” in fatto di pari opportunità. D’altra parte in una P.a fatta soprattutto da donne, sono oltre la metà, si sente la necessità di fare un salto di qualità che metta al centro la questione femminile, ancora sentita se si guarda ai ruoli di vertice e alle retribuzioni. (ANSA)