Orrori in Val D’Enza. Assistenti sociali e giudici, chi controlla i controllori?

di Adriano Segatori 

Quis custodiet ipsos custodes? si chiedeva Giovenale già circa 1900 anni fa. È questa la domanda che deve essere posta per i protagonisti degli orrori accaduti a Val D’Enza nel reggiano.

Non entro nel merito dei fatti, che sono all’esame delle autorità competenti, per non cadere nella trappola democratica per la quale tutti hanno diritto ad esprimere una propria opinione. Essendo costituzionalmente antidemocratico, credo e ribadisco che ognuno debba parlare con cognizione di causa e documentata competenza: non condivido la regola egualitaria della libertà di dire cazzate.

Posso dire, però, per decennale esperienza in ambito psichiatrico e giudiziario, che definite categorie dovrebbero essere sottoposte ad alcuni test psicodiagnostici prima di intraprendere la propria carriera, e monitorate con una certa regolarità durante il percorso professionale: i giudici, gli insegnanti e i cosiddetti operatori delle helping professions, o professioni di aiuto (infermieri, assistenti sociali, psicologi, psichiatri ed altre di supporto emotivo e fisico alla persona).

Sono, queste, attività che non possono essere inquadrate nel semplice, seppure importante, lavoro di applicazione di metodi, procedure e linee-guida, ma coinvolgono l’intera personalità di chi le esercita, sia nella scelta delle medesime, sia nei loro obiettivi di applicazione.

Un grande psichiatra e psicologo junghiano, Adolf Guggenbühl-Craig, ha espresso dei concetti memorabili in proposito.

Innanzitutto che “Molto spesso, più che il benessere dell’assistito, sembra piuttosto in gioco il potere di chi assiste”, e questo sembra essere anche il comportamento nella libera interpretazione dei giudici o nella prescrizione didattica degli insegnanti.

Poi, c’è il problema dell’Ombra, la parte oscura di sé che viene negata razionalmente, ma che se non elaborata continua ad agire in maniera inconscia devastando il suo proprietario e le relazioni che intraprende. In molti casi è questa negatività inaccettabile ma potente che spinge a scegliere precise professioni, con le conseguenze peggiori per tutti i partecipanti all’incontro, sia esso casuale o voluto.

Infine, c’è da rimarcare il fatto psichico che certe, queste, professioni partono da una ferita interiore che il portatore fa di tutto per alleviare, per curare o per guarire impegnandosi nell’alleviare, nel curare o nel guarire gli altri. Proietta i propri problemi e le proprie frustrazioni sul prossimo e intervenendo su di lui ha la presunzione di assolvere e di immunizzare se stesso.

Detto ciò, sia che i fatti di cronaca in evidenza siano stati determinati da moventi economici, sia che siano stati facilitati dalle personalità degli attori al momento sospettati, sia da entrambe le ipotesi espresse variamente influenti, toglierli dalla faccia della terra non sarò politicamente corretto, ma psicologicamente soddisfacente e moralmente apprezzabile.

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