Fegati estratti da bambini vivi dopo l’aborto: l’orrore che è realtà

Agghiacciante è quanto testimoniato su LifeNews dal giornalista David Daleiden, il quale ha partecipato alla realizzazione dei video sotto copertura del Centro per il progresso medico dei dirigenti di alto livello di Planned Parenthood, che hanno ammesso il coinvolgimento nell’organizzazione del commercio di parti del corpo dei bambini. Bambini utilizzati come pezzi di ricambio, fatti nascere appositamente vivi per prelevare loro gli organi, in particolare il fegato. Non è un film horror ma realtà.

Il Dr. Jörg C. Gerlach, chirurgo sperimentale dell’Università di Pittsburgh, ha sviluppato e pubblicato una tecnica agghiacciante per prelevare da bambini partoriti vivi a seguito di aborto tardivo ad un’età gestazionale di 18-22 settimane, fegati incontaminati. Il “protocollo” di Gerlach per la raccolta del fegato è utilizzato per i trapianti sperimentali di cellule staminali secondo le “Current Good Manufacturing Practice”, o cGMP, linee guida sviluppate dalla U.S. Food and Drug Administration (FDA), un altro ramo della HHS (Dipartimento della Salute e dei servizi umani degli Stati Uniti).

Gli aborti associati al nostro protocollo sono stati eseguiti per induzione medica di routine; il parto è stato indotto dalla somministrazione locale di prostaglandine” ha affermato Gerlach ed il suo team del Centro Medico dell’Università di Pittsburgh. “Poiché abbiamo ottenuto il tessuto dagli addominali intatti e rimosso i fegati chirurgicamente in condizioni cGMP, il tessuto potrebbe essere ottenuto in modo sterile”.

Le linee guida cGMP della FDA richiedono prodotti sterili per il trapianto di tessuti, il che significa che l’aborto deve lasciare intatto il feto, con organi interni non esposti ad agenti patogeni esterni. “I feti sono stati raccolti e trasferiti nell’attuale impianto di buona pratica di fabbricazione (cGMP) per il trattamento delle cellule umane”.

“I campioni sono stati collocati in sacchetti sterili contenenti la soluzione di conservazione epatica dell’Università del Wisconsin, e ogni campione è stato trasportato nel ghiaccio subito dopo l’aborto per ridurre al minimo il tempo di trasferimento fino all’isolamento cellulare”.

L’immediatezza era fondamentale: “La logistica del trasferimento del feto alla struttura di isolamento cellulare non richiedeva più di un’ora, ed il nostro protocollo escludeva l’uso di cellule che erano state isolate più di 6 ore prima del trapianto. All’ arrivo alla struttura del cGMP, ogni feto è stato pesato, risciacquato con una soluzione di iodio e posto su un vassoio chirurgico sterile”.

Poi gli è stato tagliato il fegato.

Per certezza medica, un bambino di cinque mesi abortito con l’induzione del parto è vivo al momento del parto. I feticidi come la digossina non possono essere utilizzati in un caso di raccolta di organi, e lo scopo del protocollo di Gerlach è quello di ottenere cellule epatiche fresche, vive e pulite per il trapianto, riducendo al minimo il tempo senza circolazione.

In altre parole, questi bambini o sono morti quando sono stati immersi nei sacchi per il trasporto, o dopo che i loro corpi sono stati aperti per prelevare i loro fegati.

Le pubblicazioni affermano che generalmente queste procedure di vivisezione si svolgono in un laboratorio in Sicilia, di proprietà e gestito dal Centro Medico dell’Università di Pittsburgh, eppure sembra che almeno una parte di questo terribile lavoro sia stato sviluppato o praticato a Pittsburgh. I documenti per la raccolta del fegato che Gerlach redasse nel 2012, 2015 e 2019 ringraziano i suoi colleghi del dipartimento di ostetrica e ginecologia di Pittsburgh per aver fornito fegati fetali da aborti di bambini di cinque mesi. Il prelievo di organi faceva parte del programma di aborto presso l’Università di Pittsburgh.

Gli esperimenti sul fegato in collaborazione con l’università sono stati finanziati dal NIH (Istituto Nazionale Sanitario) con ben 2 milioni di dollari dal 2011.

Non possiamo rimanere in silenzio e non ribellarci a questa mentalità di morte diffusa pressoché ovunque, dove il bambino nel grembo materno viene considerato non una persona, ma un oggetto, da fare a pezzi senza problemi.

(Chiara Chiessi — www.corrispondenzaromana.it)