“Non esiste un diritto assoluto alla genitorialità: l’unico ‘faro’ è il supremo interesse del minore”. E’ quanto ha sottolineato l’Avvocatura dello Stato attraverso Gabriella Palmieri, intervenendo al palazzo della Consulta davanti ai giudici della Corte Costituzionale, a proposito del divieto previsto dalla legge 40 del 2004 che esclude le coppie composte da soggetti dello stesso sesso dall’accesso alle tecniche per la procreazione medicalmente assistita.
La questione – sulla quale ha relazionato il giudice costituzionale Franco Modugno – è stata sollevata dai tribunali di Pordenone e di Bolzano, in merito alla vicenda di due donne che volevano ricorrere, anche per loro particolari patologie mediche, alla fecondazione assistita. Palmieri, pur riconoscendo “risvolti personali delicati”, ha richiamato l’esigenza di attenersi a “una impostazione strettamente giuridica” e ha sottolineato che la legge ha posto “punti fermi” sul tema e soprattutto che “il ruolo del legislatore è fondamentale”.
Più in particolare, l’Avvocato dello Stato ha ricordato che “non tutto ciò che la scienza e la tecnica consentono diventa diritto, c’è sempre una scelta che viene democraticamente affidata dal sistema al legislatore”. Nel caso della genitorialità, poi, Palmieri ha ribadito che “la prospettiva giuridica non è adulto-centrica: i genitori non hanno diritti ma doveri verso i figli“. Dal loro canto, i legali rappresentanti della coppia gay, Maria Antonia Pili e Alexander Schuster, hanno sostenuto davanti ai giudici della Corte Costituzionale che la legge 40 del 2004 sulla fecondazione assistita “è ‘traballante’ su alcuni diritti fondamentali come quello alla procreazione” imponendo di fatto “un doppio divieto: alla coppia di donne ma anche alla donna single, sia per la fecondazione assistita sia per l’adozione, facendo emergere un impianto discriminatorio”.
L’avvocato Pili ha invocato da parte della Consulta “un atteggiamento illuminante, come dimostrato anche in tante sentenze precedenti che hanno anticipato il legislatore, avendo come ‘faro’ la Costituzione”. In particolare, “la questione in discussione sarebbe facilmente risolvibile dichiarando la incostituzionalità della legge solo riguardo a due parole scritte nell’articolo 5 della legge 40 del 2004, lì dove aggiunge ‘sesso diverso’ ai requisiti previsti”. La norma afferma infatti che “possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita coppie di maggiorenni, di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”.
Per il legale della coppia gay, “qui si parla di diritto vivente, di famiglie esistenti, che sarebbero costrette ad andare all’estero per vedere riconosciuto un loro diritto”. La Consulta ha escluso dalla seduta gli intervenienti ‘ad adiuvandum’ Avvocatura per i diritti Lgbti, Associazione Radicale Certi Diritti e Associazione ‘Luca Coscioni’. (AdnKronos)