Volontari sì, ma a pagamento. È questa la condizione di buona parte degli operatori delle Ong che si occupano di immigrazione, partendo dai centri profughi per arrivare ai marinaretti che pattugliano le coste al largo della Libia per rastrellare e trasportare in Italia clandestini. Per qualcuno il cosiddetto no-profit è una pacchia, per usare una definizione cara a Matteo Salvini. Ad esempio, per i vertici delle organizzazioni più importanti. Recentemente ha fatto molto discutere lo stipendio del presidente dell’ americana Save the Children, che si mette in tasca 365 mila dollari l’ anno.
E parliamo di un’ associazione che con la sua nave – la Vos Hestia – ha collaborato a riempire l’ Italia di profughi. Un altro dirigente fortunato è quello di Care, che prende 250 mila dollari l’ anno. Belle buste paga, insomma, anche se ovviamente non per tutti va così: sui battelli si inizia a lavorare guadagnando meno di 2.000 euro al mese. Fare carriera, tuttavia, non è impossibile. Le organizzazioni in questione, però, fanno molta fatica a fornire le cifre esatte, per ragioni facilmente intuibili.
LE DONAZIONI
In questi giorni si parla molto della SeaWatch, nave armata da un’ organizzazione creata da cittadini tedeschi che continuano a sfidare la dottrina del governo italiano dei “porti chiusi”. A furia di campagne contro la Lega, la Ong di Berlino ha raccolto nel 2018 circa 1.800.000 euro in donazioni da parte di privati. Una somma che quest’ anno, grazie proprio all’ esposizione mediatica data dalle polemiche con il Viminale, dovrebbe crescere considerevolmente. Dirà qualche insolente: sarebbe molto bello se queste cifre finissero realmente nelle tasche dei poveracci in fuga da miseria e guerre. In realtà circa il 30% delle spese serve a pagare gli stipendi di persone che il mar Mediterraneo lo vedono al massimo durante le ferie estive. La gran parte finisce ad attivisti che restano tranquillamente a organizzare le grandi manovre contro il Viminale a Berlino. Poi troviamo un minuscolo “distaccamento” italiano. In pratica, c’ è una persona sola, la portavoce: Giorgia Linardi. Un volantino circolato sui social network in questi mesi denunciava gli incassi della signora: 5.000 euro al mese. Sicuramente si tratta di un’ esagerazione: effettivamente il bilancio rivela che i coordinatori hanno stanziato nel 2018 circa 60mila euro per la delegazione nel nostro paese, ovvero 5.000 ogni trenta giorni, ma in questo conto bisogna inserire anche le spese per i viaggi i telefoni e altro. Difficile stabilire una cifra esatta, visto che SeaWatch – contattata da Libero – non ha risposto.
La trasparenza, d’ altra parte, non è la priorità di chi si avventura a caccia di disperati del canale di Sicilia. Open Arms, per esempio, si limita a dire che il 91% delle risorse vengono spese per la missione, senza degnarsi di dettagliare. I più disponibili a parlare dei loro incassi sono gli italiani di Mediterranea, ovvero l’ imbarcazione messa in acqua grazie a una grande colletta tra politici e notabili della sinistra italiana. In tutto, sono stati raccolti 769mila euro, per portare in Italia meno di 80 persone da ottobre a oggi (due gommoni intercettati al largo dell’ Africa, peraltro ancora in grado di stare a galla. I passeggeri potevano essere riportati in Libia). In pratica, hanno speso 10mila euro per ogni persona traghettata in Europa. Pagare a tutti un biglietto aereo sarebbe costato parecchio meno. Intanto, stando ai bilanci pubblicati sul sito di Mediterranea, da ottobre i dipendenti della Ong hanno percepito 81.177 euro.
MISSIONARI?
Un altro vascello reso celebre dagli scontri con Salvini è l’ Aquarius. In un’ intervista al Fatto Quotidiano, uno dei marinai ha risposto a quanti gli chiedevano conto dei loro emolumenti: «Per caso qualcuno pretende che i vigili del fuoco non vengano pagati? O i dottori?. Qui siamo tutti professionisti. Non ci si può improvvisare soccorritori. Quindi le persone sono pagate. Certo non si arricchiscono: fanno questo lavoro non per soldi ma per altre ragioni». Insomma, si sentono missionari, ignorano la legge italiana, ma gradiscono essere stipendiati. E va detto che quelli di Aquarius sono tra i meno pagati: circa 1.760 euro al mese. Meglio non raccontargli la storia del penultimo presidente di Amnesty International, che lasciò l’ incarico pochi anni fa con una buonuscita di mezzo milione.
di Lorenzo Mottola