Tagli alla sanità, 19 milioni di italiani costretti a pagare cure di tasca propria

Nel 2019, quasi 1 italiano su 2 (44% della popolazione), a prescindere dal proprio reddito, si è ‘rassegnato’ a pagare personalmente di tasca propria per ottenere una prestazione sanitaria. Il quadro che emerge dal IX Rapporto Rbm-Censis, presentato oggi al Welfare Day 2019, non è rassicurante per la sanità pubblica. Sono 19,6 milioni gli italiani che nell’ultimo anno, per almeno una prestazione sanitaria, hanno provato a prenotare nel Ssn poi, constatati i lunghi tempi d’attesa, hanno dovuto rivolgersi alla sanità a pagamento, privata o intramoenia.

Quello delle liste d’attesa è un vero e proprio calvario: in media, si aspettano 128 giorni per una visita endocrinologica, 114 giorni per una diabetologica, 65 giorni per una oncologica, 58 giorni per una neurologica, 57 giorni per una gastroenterologica, 56 giorni per una visita oculistica. Tra gli accertamenti diagnostici, in media 97 giorni ‘sfumano’ prima di effettuare una mammografia, 75 giorni per una colonscopia, 71 giorni per una densitometria ossea, 49 giorni per una gastroscopia.

Il Servizio sanitario non riesce più a erogare in tempi adeguati prestazioni incluse nei Lea (Livelli essenziali di assistenza) e prescritte dai medici, e cresce il numero dei cosiddetti forzati della sanità di tasca propria. In 28 casi su 100 i cittadini, avuta notizia di tempi d’attesa eccessivi o trovate le liste chiuse, hanno scelto di effettuare le prestazioni a pagamento (il 22,6% nel Nord-Ovest, il 20,7% nel Nord-Est, il 31,6% al Centro e il 33,2% al Sud), come si legge nell’indagine Rbm-Censis realizzata su un campione nazionale di 10.000 cittadini maggiorenni statisticamente rappresentativo della popolazione.

Transitano nella sanità a pagamento il 36,7% dei tentativi falliti di prenotare visite specialistiche (il 39,2% al Centro e il 42,4% al Sud) e il 24,8% dei tentativi di prenotazione di accertamenti diagnostici (il 30,7% al Centro e il 29,2% al Sud). Di conseguenza la spesa privata sale a 37,3 miliardi di euro: +7,2% dal 2014 (-0,3% quella pubblica).

Tra il 2013 ed il 2018 a fronte di una crescita del + 9,9% della spesa sanitaria privata, la spesa sanitaria ‘intermediata’ dalla sanità integrativa è cresciuta del + 0,5%. La spesa sanitaria privata media per famiglia ha raggiunto quota 1.437 euro.

Importanti anche i dati sulla capacità di rimborso della spesa sanitaria privata da parte della sanità integrativa: se in media infatti un cittadino finanzia l’85% delle cure private, aderendo ad una forma sanitaria integrativa l’ammontare da pagare di tasca propria per le medesime cure scende al 33%, perché quasi 2/3 della spesa sono rimborsati dalla polizza sanitaria. Molti italiani si sono rassegnati, convinti che comunque nel pubblico i tempi d’attesa sono troppo lunghi. È capitato al 38% delle persone con redditi bassi e al 50,7% di chi ha redditi alti. Emerge quindi la necessità, da parte dei cittadini, di ‘surfare’ tra pubblico e privato per completare, in tempi certi, un iter clinico o diagnostico, prescritto dal proprio medico.

Il 62% di chi ha effettuato almeno una prestazione sanitaria nel sistema pubblico ne ha effettuata almeno un’altra nella sanità a pagamento: il 56,7% delle persone con redditi bassi, il 68,9% di chi ha redditi alti. Sono inoltre 13,3 milioni le persone che a causa di una patologia hanno fatto visite specialistiche e accertamenti diagnostici sia nel pubblico che nel privato, per verificare la diagnosi ricevuta (una caccia alla ‘second opinion’).

Secondo il IX Rapporto Rbm-Censis, inoltre, tra le prestazioni sanitarie effettuate direttamente nel privato, hanno una prescrizione medica il 92,5% delle visite oncologiche, l’88,3% di quelle di chirurgia vascolare, l’83,6% degli accertamenti diagnostici, l’82,4% delle prime visite cardiologiche con Ecg. Non si tratta, sostengono gli autori del report, di un ingiustificato consumismo sanitario. (AdnKronos Salute)

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