Il procedimento a carico dell’imputato origina dalla denuncia querela – acquisita al fascicolo per il dibattimento e dichiarata utilizzabile con il consenso delle parti – sporta e depositata in data 19 novembre 2012 alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma da Maurizio TURCO, il quale, premesso che il QUINTO era stato tesoriere del Partito Radicale dal 1995 al 2005, riferisce che in qualità di rappresentante pro tempore del Partito Radicale, aveva sporto denuncia nei confronti dello stesso QUINTO nel 2005, per appropriazione indebita aggravata e continuata e l’odierno imputato era stato condannato a mesi dieci di reclusione con sentenza definitiva nel 2011.
Il TURCO proseguiva dichiarando di aver acquistato in data 18 settembre 2012 una copia del libro scritto dal QUINTO, dal titolo “Da servo di Pannella a figlio libero di Dio”, pubblicato nel mese di luglio 2012, all’interno del quale “scorgeva che diversi brani che componevano il manoscritto avevano un contenuto espositivo palesemente lesivo della propria persona” definendo il querelante “il servo sciocco di Pannella (pag. 63) Tanto devoto, l’attuale capo della delegazione radicale alla Camera dei Deputati, che si affidò a Pannella per dirimere le questioni con sua moglie — sorella dell’avvocato di Pannella, Giuseppe Rossodivita — e per decidere della relativa separazione. “E’ stato Marco ad aiutarmi. E° venuto a casa nostra a Bruxelles, a cena, e ha deciso e sistemato tutto lui”, mi raccontò in un impeto di confidenza. Pannella si assumeva anche questi compiti: nella sua infinita bontà diventava per i suoi adepti anche sensale o guastatore di pseudo unioni matrimoniali (pag. 74)”.
TURCO negava che i fatti riferiti dal QUINTO fossero veri ed anzi “integrano un’illegittima divulgazione di notizie afferenti la sfera privata del querelante, che quindi non hanno alcun rilievo rispetto al ruolo ed alla funzione pubblica esercitata dal medesimo – sono soltanto un esempio delle false, infamanti e quindi diffamatorie affermazioni che il QUINTO veicola attraverso il libro, all’esclusivo fine di operare un gratuito attacco alla personalità morale del querelante” adombrando l’ipotesi che tale condotta fosse probabilmente una vendetta perché il TURCO aveva “dato avvio alla iniziativa giudiziaria che ha portato alla definitiva condanna del querelato” con il chiaro intento di rappresentarlo “come un lacchè dell’On. Pannella ‘acefalo, incapace di prendere qualsiasi decisione senza il previo consenso del suo padre-padrone’ (pag. 74)”.
All’udienza del 22 febbraio 2018 veniva integrato il capo di imputazione, come da relativo verbale, qui di seguito da intendersi integralmente richiamato e trascritto, con la contestazione del brano relativo alla vicenda della separazione personale dalla moglie, da parte del TURCO.
Durante l’istruttoria, all’udienza del 25 gennaio 2017, veniva acquisita al fascicolo per il dibattimento e dichiarata utilizzabile con il consenso delle parti, la denuncia querela sporta e depositata in data 19 novembre 2012 alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma da Maurizio TURCO, al quale venivano comunque rivolte domande a precisazione e veniva nuovamente escusso dinanzi al nuovo Giudice all’udienza del 20 luglio 2018, confermando sostanzialmente quanto riferito nella denuncia querela, precisando che i suoi rapporti con l’imputato si erano limitati a quelli “di partito …. forse vent’anni fa eravamo andati a cena qualche volta” e negando di aver potuto fare alcuna confidenza al QUINTO in merito alla sua separazione dalla moglie, in merito alla quale ha ribadito che Pannella non aveva svolto alcun ruolo.
Venivano altresì escussi i testi della difesa Sabrina MACCIOCCA, Eleonora TILIACOS, Giancarlo IACOMINI, Giacomo SETTIMO RIZZORI e rendeva esame l’imputato.
La teste MACCIOCCA ha riferito di aver lavorato, dal 1999 al 2005, presso il call center del Partito Radicale, che era coordinato da Pasquale QUINTO che “faceva quello che Marco Pannella gli diceva, così come tutti, chi lavorava lì faceva tutto quello che diceva Marco …. lui era il sovrano del Partito Radicale”. A proposito dei rapporti tra TURCO e Pannella nulla ha saputo riferire dichiarando “io durante i loro colloqui non c’ero, perché naturalmente non è che io stavo nella stanza quando loro discutevano”.
La teste TILIACOS, impiegata del call center del Partito Radicale dal 1999 al 2004, ammessa a seguito dell’integrazione del capo di imputazione, a proposito delle vicende matrimoniali di TURCO nulla ha saputo riferire ed ha invece affermato che “chi faceva lì politica era estremamente servo di Pannella” e pertanto anche TURCO lo era, ma quanto al fatto che fosse sciocco dichiarava “non avevo abbastanza competenza politica per dire questo”.
Il teste IACOMINI ha riferito di aver lavorato presso il call center del Partito Radicale dal 1996 al 1997 e poi per una breve parentesi nel 1999, periodo durante il quale aveva conosciuto l’imputato e gli altri dirigenti del partito, come pure il TURCO, che però in quel periodo “non era tra quelli che in quel periodo erano diciamo più presenti …”. In ordine ai fatti di causa nulla ha saputo riferire, facendo riferimento ad una battuta di Pannella nei suoi confronti, relativa alla rottura del rapporto con la propria fidanzata (anch’essa impiegata presso il partito), come esempio di intromissione di Pannella nelle questioni private dei dipendenti del partito, ed aggiungendo che nel periodo in cui aveva lavorato per il partitosi era considerato asservito ma non sciocco poiché “non ho così poca autostima di me stesso”.
Il teste RIZZARI ha riferito di aver lavorato presso il call center del Partito Radicale dal 2000 al 2005, periodo durante il quale aveva conosciuto QUINTO e “di vista” un po’ tutti i dirigenti del partito, aggiungendo di aver sentito all’interno del partito la locuzione “servo sciocco”, senza poter dire a chi fosse riferita, e di aver sentito anche dire che Pannella si era interessato della separazione tra TURCO e la moglie, ma senza riferire da chi. Infine ha dichiarato che durante il periodo di lavoro presso il partito si era considerato un servo, per i duri orari di lavoro e gli ordini impartiti, ma che si sentirebbe offeso se lo si definisse sciocco.
Durante l’esame, l’imputato ha dichiarato che l’espressione “servo scioccodi Pannella è una metafora goldoniana” e l’ha “intesa scrivere come un’espressione benevola”, chiarendo di aver rivolto anche a se stesso, proprio nel titolo del libro, l’espressione “servo di Pannella”, così come lo erano tutti gli altri nell’ambito del Partito Radicale. Allo stesso modo ha dichiarato di essersi considerato egli stesso acefalo “perché non avevo il coraggio di abbandonare quell’ideologia. Perché è un’ideologia manipolatoria nei confronti delle persone …’.
Invitato dal Giudice a chiarire quante volte avesse fatto riferimento a TURCO nel libro, ha risposto “Penso 5 0 6 volte” ammettendo che il passaggio relativo all’intervento di Pannella nella separazione tra TURCO e la moglie, nel contesto in cui è inserito nel libro “Forse non era determinante o importante” però aveva ritenuto di farlo per far intendere il ruolo di mediatore che Pannella esercitava “con tutti, nei rapporti tra tutti”, confermando che quanto riferito gli era stato confidato dal TURCO , stante la confidenza tra i due, aggiungendo “spesso andavamo a prendere un caffè e, in quel caso, mi disse questa cosa”.
Allo stesso modo, sollecitato dal Giudice, a spiegare perché, pur facendo un elenco di persone che tentavano di convincerlo a una sua ricandidatura avesse apostrofato il solo TURCO con l’espressione “servo sciocco di Pannella”, affermava “Non ho fatto i nomi degli altri perché forse era ininfluente, ho dato un esempio, ma non avevo nessun tipo di acredine nei suoi confronti”.
L’intera istruttoria dibattimentale deve condurre all’affermazione della penale responsabilità dell’imputato per il reato, come contestatogli nel capo di imputazione nel decreto di citazione a giudizio e successivamente integrato, poichè le espressioni che QUINTO usa nel proprio libro riguardo al TURCO, devono considerarsi diffamatorie e lesive della reputazione e dell’onorabilità dello stesso, alla stregua della normativa vigente e della costante e prevalente giurisprudenza, non essendo al contrario emerso alcun elemento di positivo riscontro in favore dell’imputato, tale da escluderne o attenuarne la penale responsabilità.
Il reato contestato al QUINTO è quello previsto dall’art. 595 comma terzo che punisce la diffamazione a mezzo stampa — tale deve pacificamente essere considerato un libro — che tutela la reputazione della persona offesa e trova il proprio fondamento nella necessità di garantire la reputazione dell’individuo, ovvero l’onore inteso in senso soggettivo, quale considerazione che il mondo esterno ha del soggetto stesso.
La disposizione trova il proprio fondamento nella necessità di garantire la reputazione dell’individuo, ovvero l’onore inteso in senso soggettivo, quale considerazione che il mondo esterno ha del soggetto stesso.
I presupposti del reato sono i seguenti:
– l’assenza dell’offeso, consistente nell’impossibilità che la persona offesa percepisca direttamente l’addebito diffamatorio. L’impossibilità di difendersi determina infatti una maggiore potenzialità offensiva rispetto alla mera ingiuria (ad oggi comunque depenalizzata).
– l’offesa alla reputazione, intendendosi la possibilità che l’uso di parole diffamatorie possano ledere la reputazione dell’offeso.
• – la presenza di almeno due persone in grado di percepire le parole diffamatorie (esclusi il soggetto agente e la persona offesa).
Si tratta reato di evento, che si consuma nel momento della percezione da parte del terzo delle parole diffamatorie. La condotta è scriminata in caso di esercizio del diritto di cronaca, critica e satira, quando attuata nei limiti di verità, continenza e pertinenza.
Per diritto di cronaca, secondo l’impostazione maggioritaria, si intende il diritto di narrare fatti realmente accaduti, attraverso il mezzo della stampa, in considerazione dell’interesse che la collettività possiede alla divulgazione della notizia, diritto che però non può esercitato indiscriminatamente, ma necessità di alcuni presupposti, al fine di rendere scriminata l’eventuale offesa della reputazione altrui posta in essere attraverso lo scritto.
Tali presupposti sono costituiti: dalla verità della notizia pubblicata; dall’interesse alla conoscenza del fatto oggetto di pubblicazione; dalla correttezza formale dell’esposizione (continenza), posto che la narrazione di un fatto, posta in essere con tono aggressivo, sleale o ambiguo, diviene del tutto inutile rispetto all’obiettivo principale dell’attività di informazione.
“In tema di diffamazione a mezzo stampa, la scriminante del diritto di cronaca è configurabile qualora la notizia pubblicata sia vera anche indipendentemente dalla verità del fatto che ne costituisce oggetto, purché la notizia stessa sia di interesse pubblico, anche in relazione ai soggetti coinvolti e sia presentata oggettivamente come tale e non come verità del fatto narrato.” (Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 11897 del 26 marzo 2010).
Il diritto di critica si differenzia da quello di cronaca in quanto, a differenza del primo, non si concretizza nella narrazione di fatti, bensì nell’espressione di un giudizio o più genericamente di un’opinione, che come tale non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che, per sua natura, la critica non può che essere fondata su un’interpretazione necessariamente soggettiva di fatti e comportamenti.
Ciò nondimeno anche il diritto di critica non può essere esercitato indiscriminatamente, presupponendo in primo luogo, come quello di cronaca, la verità del fatto, posto che senza di questa, la realtà finisce di essere tale e diventare finzione, immaginazione o invenzione.
Ed invero: “In tema di diffamazione, ai fini della applicazione dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica, non può prescindersi dal requisito della verità del fatto storico ove tale fatto sia posto a fondamento della elaborazione critica.” (Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 40930 del 3 ottobre 2013).
In secondo luogo il diritto di critica deve essere esercitato sempre nei limiti del diritto costituzionalmente garantito, sicché restano ugualmente punibili le espressioni inutilmente volgari, umilianti e dileggianti.
In tema di diffamazione, il limite della continenza nel diritto di critica è superato in presenza di espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato. Pertanto, il contesto nel quale la condotta si colloca può essere valutato ai limitati fini del giudizio di stretta riferibilità delle espressioni potenzialmente diffamatorie al comportamento del soggetto passivo oggetto di critica, ma non può in alcun modo scriminare l’uso di espressioni che si risolvano nella denigrazione della persona di quest’ultimo in quanto tale (Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 15060 del 13 aprile 2011).
Diverso ancora dal diritto di critica e di cronaca, è il diritto di satira, il quale si può definire come il diritto di espressione artistica che opera una rappresentazione intuitivamente simbolica che propone quale metafora caricaturale.
Il diritto di satira mira all’ironia, sino al sarcasmo e comunque all’irrisione di che esercita un pubblico potere, esasperando la polemica sulle opinionii ed comportamenti delle persone e, come tale non è soggetta agli schemi razionali della verifica critica, purché attraverso la metafora, sia comunque riconoscibile, se non un fatto o un comportamento storico, un’opinione almeno presunta, che deve essere di interesse sociale, della persona pubblica cui la satira si rivolge.
Anche dal punto di vista della continenza, il linguaggio della satira, in particolare grafica, è svincolato da forme convenzionali, non potendosi applicare il consueto metro di correttezza dell’espressione, ma comunque non può essere superato, come in ogni altra manifestazione di pensiero, il rispetto dei valori fondamentali, esponendo la persona al disprezzo oltreché al ludibrio della sua immagine pubblica.
Sul punto si evidenzia che “In tema di diffamazione a mezzo stampa, non sussiste l’esimente del diritto di critica nella forma satirica qualora essa, ancorché a sfondo scherzoso e ironico, sia fondata su dati storicamente falsi; tale esimente può, infatti, ritenersi sussistente quando l’autore presenti in un contesto di leale inverosimiglianza, di sincera non veridicità finalizzata alla critica e alla dissacrazione delle persone di alto rilievo, una situazione e un personaggio trasparentemente inesistenti, senza proporsi alcuna funzione informativa e non quando si diano informazioni che, ancorché presentate in veste ironica e scherzosa, si rivelino false e, pertanto, tali da non escludere la rilevanza penale.” (Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 3676 del 1 febbraio 2011).
Dal punto di vista soggettivo per l’integrazione del reato di diffamazione è richiesto un dolo generico, non essendo sufficiente l’astratta idoneità delle parole ad offendere, ma necessario che siano a ciò destinate, in quanto adoperate appunto nel loro significato sociale oggettivo, che vengono ad assumere le parole, senza alcun riferimento alle intenzioni dell’agente. Può anche ricorrere un dolo eventuale, purché l’agente si rappresenti il fatto che le sue parole vanno ad assumere un significato offensivo, in quanto destinate ad offendere la reputazione altrui e pertanto la sua intenzione ed il suo scopo non devono necessariamente essere di offesa, ma è sufficiente che egli adoperi consapevolmente parole socialmente interpretabili come offensive. Nel caso di specie tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del reato sono integrati dalla condotta del QUINTO, né sussiste alcuna delle scriminanti sopra indicate, per difetto assoluto dei requisiti richiesti. Senza che fossero pertinenti e contestualizzate, l’imputato ha fatto affermazioni nei confronti del TURCO, intenzionalmente dirette a descriverlo come una persona priva di autodeterminazione, completamente asservita al suo padre-padrone Pannella ed a lui devoto al tal punto di rimettere a lui anche ogni decisone in ordine alla separazione dalla moglie.
Quanto all’affermazione “servo sciocco” l’imputato ed il proprio difensore, quest’ultimo promettendone allegazioni ed elenco in sede di discussione, hanno fatto riferimento alla metafora goldoniana ed a non meglio precisati personaggi della Commedia dell’Arte.
Orbene, brevemente e per mero scrupolo, giova far rilevare che nella letteratura di riferimento la figura del servo trova origine nello Zanni, che, come Zuan, è una versione veneta del nome Gianni, molto diffuso nel contado veneto-lombardo da dove venivano la maggior parte dei servitori dei nobili e dei ricchi mercanti veneziani. Per questa ragione lo Zanni, divenuto un personaggio fra i più antichi della Commedia dell’Arte venne facilmente identificato con costoro.
Zanni è legato alla terra, alla vita rurale, dal carattere grezzo e volgare del contadino. Assomiglia ad un animale per i suoi modi di fare, dato che i suoi istinti principali sono il sesso e la fame. Esistono due tipi di Zanni: quello astuto e veloce e quello sciocco e lento. Il primo è solito giocare brutti tiri al padrone e ai suoi interlocutori. Oltre ad essere veloce e agile, questo Zanni è anche molto aggressivo e con la parlantina sciolta; facile all’ira, diventa subito violento e manesco, anche con le donne.
Lo Zanni lento è l’esatto contrario: è ignorante e quasi incapace di formulare un concetto, dimostrando la sua tardezza anche nel movimento. Ciononostante egli appare sempre spassoso e divertente al pubblico e agli interlocutori perché sa generare equivoci col padrone e addirittura cercare di elevarsi al di sopra della sua figura, venendo però subito ammonito. Spesso frodato e imbrogliato per il suo scarso intelletto e per la sua goffaggine, vive di espedienti alla perenne ricerca di cibo, svolge mestieri umili ed è truffaldino e ruffiano di natura.
Alla luce della suesposta descrizione, nonostante l’imputato abbia voluto ridimensionare il contenuto della definizione di TURCO come “servo sciocco di Pannella” in sede di esame, affermando di averla usata in senso benevolo, riesce veramente difficile considerare come possa escludersi il senso denigratorio ed offensivo contenuto in un riferimento ad una maschera di un personaggio totalmente asservito al suo padrone e destinato a suscitare ilarità per la sua grettezza e goffaggine.
Né peraltro si intuisce minimamente un’intenzione diversa da quella offensiva e denigratoria dell’espressione, laddove si consideri che essa viene usata in modo imprevisto e brutale, senza spiegazioni e riferimenti a citazioni, in un contesto in cui, pur facendosi riferimento a tutt’altro argomento ed elencandosi una serie di personaggi del Partito Radicale, l’espressione medesima è indirizzata al solo TURCO, mentre nessun altro appellativo o aggettivo è rivolto agli altri.
La difesa, anche attraverso i propri testimoni, ha voluto ridondare in modo quasi assillante, sull’atteggiamento quasi dispotico di Pannella a vertice del Partito Radicale, così da voler giustificare che tutti gli altri dovessero sentirsi e definirsi servi di uno stesso ed unico padrone, ma ciò non esclude che tale espressione perda il suo valore offensivo e dispregiativo, laddove si consideri il senso letterale ed il significato sociale che, nel linguaggio comune assume il termine “servo”.
Riconosciuta la penale responsabilità dell’imputato e venendo al trattamento sanzionatorio, valutati i parametri di cui all’art. 133 c.p. ed in modo particolare considerate le modalità dell’azione, la gravità del danno recato alla persona offesa, l’intensità del dolo, la condotta contemporanea e susseguente al reato, non avendo l’imputato dimostrato alcuna resipiscenza o ravvedimento della propria condotta, si ritiene adeguata al fatto la pena di mesi 6 di reclusione, riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante della recidiva. Nonostante l’imputato ne abbia già beneficiato, si ritiene concedibile la sospensione condizionale della pena, ricorrendo i limiti previsti dall’art. 164 quarto comma c.p. Alla condanna dell’imputato seguono quella al risarcimento del danno nei confronti della parte civile costituita, da liquidarsi in separata sede e la refusione delle spese legali di costituzione della parte civile,, che si liquidano in euro 2.000,00 oltre oneri come per legge.
Visti gli artt. 533, 535 c.p.p. dichiara l’imputato QUINTO PASQUALE responsabile del reato a lui acritto e lo condanna alla pena di mesi 6 di reclusione, previo riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, oltre al pagamento delle spese processuali. Visti gli artt. 539 e 541 c.p.p. condanna l’imputato al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, da liquidarsi in separata sede e al pagamento delle spese relative all’azione civile, che liquida in euro 2.000,00 oltre IVA, CPA e spese generali nella misura di legge. Visto l’art. 163 c.p. ordina la sospensione condizionale della pena. Giorni 90 per i motivi.