“Fermate il capitano Ultimo!”, il libro di Corrias

Il racconto dell’uomo che ha arrestato Riina e che per vent’anni ha fatto tremare i palazzi del potere. Fino a quando il potere si è vendicato. Pino Corrias, giornalista scrittore, sceneggiatore torna in libreria in questi giorni con la biografia in prima persona singolare di Ultimo, il colonnello Sergio De Caprio, toscano di Montevarchi, da 26 anni ha sepolto il suo viso dietro un passamontagna per garantirsi l’invisibilità e poter fare i pedinamenti, condannandosi a una vita da braccato, a un’esistenza sempre in pericolo.

Una testimonianza eccezionale. Dopo più di vent’anni il carabiniere più famoso d’Italia torna a parlare e racconta la sua verità su Cosa Nostra, servizi segreti, Vaticano, Finmeccanica, cooperative rosse, P4.
Pronto a tutto per difendere le istituzioni, anche quando le istituzioni lo abbandonano. Per la prima volta l’ex capitano Ultimo racconta gli anni dopo l’arresto di Riina, i suoi successi e l’emarginazione di cui è stato vittima, fino alla mancata scorta e lo smembramento della sua squadra. E per la prima volta racconta la vita, le tecniche, le passioni dei suoi uomini, cui questo libro dà la parola, proponendoli coi loro nomi di battaglia: Vichingo, Arciere, Pirata, Petalo, Androide, Alchimista, Omar, i suoi cento investigatori invisibili che hanno indagato su mafia, ‘ndrangheta, camorra, corruzione a Milano a Palermo. Una denuncia e un nuovo capitolo di storia italiana. “La mafia non tratta, o le ubbidisci o ti uccide.
Per questo bisogna distruggerla e basta” (Ultimo).

“Il colonnello lo trova là in fondo” mi dice il giovane piantone, alla fine delle scale. Sono al primo piano del Comando carabinieri forestali, Arma dei carabinieri, Roma. (…) In fondo dove? Dopo l’ultima porta dell’ultimo ufficio. La porta a vetri? Sì. Sembra che il corridoio finisca lì. Invece c’è ancora una stanza, la sua. L’ultima? Il piantone spalanca gli occhi e sorride per il gioco di parole che gli è appena venuto in mente, ma non ha il coraggio di dirlo, prevale la disciplina: Sì. Il signor colonnello sta laggiù. Allora lo dico io: Ultimo nell’ultima stanza. E dove se no?.” Condannato a morte dai mafiosi, odiato dagli inquisiti, malvisto dalle alte gerarchie dei carabinieri e del potere, temuto dai politici di destra, di centro, di sinistra: in questo quarto di secolo – dalla cattura di Totò Riina, anno 1993, a oggi – il colonnello Sergio

De Caprio è stato sotto il fuoco costante di nemici e riflettori – – Lo hanno accusato di avere inscenato la cattura di Riina, assecondando l’accordo tra Bernardo Provenzano e i carabinieri: il vecchio boss fuori controllo in cambio della tregua. Lo hanno accusato – ricorda Corrias – di non avere perquisito la villa di Riina, dando il tempo ai mafiosi di ritirare e nascondere le sue carte. Di avere partecipato alla trattativa Stato-mafia che ha garantito la sopravvivenza dei Corleonesi dopo le stragi. Lo hanno accusato di avere una squadra di carabinieri a sua immagine e somiglianza che finisce per rendersi troppo autonoma rispetto alle alte gerarchie e alle procure. Lo hanno accusato, al contrario, di essere uno strumento in mano a Henry John Woodcock, il pubblico ministero «che ha intercettato mezza Italia» con inchieste spericolate. Lo hanno accusato per alcune delle sue indagini finite con l’assoluzione degli imputati dopo i tre gradi di giudizio, come se lui fosse il titolare del processo.
Di avere danneggiato gli affari di Finmeccanica e dunque dell’Italia, durante l’inchiesta che generò l’arresto del suo vertice. Di avere attaccato la Lega di Bossi, Maroni e Salvini.
Di averla danneggiata con l’arresto del tesoriere Belsito. Di essere troppo intrusivo nelle indagini. Lo hanno accusato di avere attaccato il mondo delle cooperative, quando ha indagato sulla Cpl Concordia. E di avere arrestato il suo presidente, assolto a Napoli, condannato a Modena.

Lo hanno accusato di avere complottato contro Matteo Renzi, di essere un carabiniere esagitato, esaltato, anzi un carabiniere eversivo. “Se arresti zingari e tossici va bene, di più no perchè diventi un pericolo per le lobby e cominciano i guai” (Ultimo). In questo libro c’è solo la sua storia. E la sua storia dovrebbe bastare.(ANSA).