I servizi segreti italiani coinvolti nella bufala del Russiagate?

di Cesare Sacchetti

Un azzeramento completo dei vertici dei servizi segreti italiani. Della mossa del governo Conte ne aveva parlato la scorsa settimana La Repubblica, la quale aveva scritto di una decisione già presa da parte dell’esecutivo giallo-verde. Secondo la ricostruzione fornita dal quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, il presidente Conte avrebbe comunicato lo scorso aprile ai vertici dell’AISE, Agenzia Informazioni Sicurezza Esterna, dell’AISI, Agenzia Informazioni Sicurezza Interna, e del DIS, Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, la necessità di procedere alle nuove nomine per rinsaldare il “vincolo di fiducia” che deve esserci tra i servizi e l’esecutivo.

E’ stata questa quindi la motivazione ufficiale che avrebbe spinto l’attuale governo a chiedere le dimissioni di quattro vice-direttori dei vertici dei servizi segreti, due del DIS, uno dell’AISE, , e un altro dell’AISI. La richiesta di cambiare i quadri dirigenti degli apparati di sicurezza nazionali ha suscitato vive polemiche tra le opposizioni, in particolare nel PD, dove sono arrivate accuse contro il governo giallo-verde di occupare i servizi in base a logiche di lottizzazione.

Il rimpasto dei servizi è legato al Russiagate?

Ma è effettivamente così? La storia del rinnovo completo dei vertici dei servizi segreti italiani appare essere slegata da semplici ragioni di spartizione politiche. Per capire cosa possa avere spinto il governo, e in particolare secondo La Repubblica, il Ministro dell’Interno Matteo Salvini e del Sottosegretario alla Difesa Angelo Tofalo, a questo rimpasto occorre fare un passo indietro e soffermarsi sulla vicenda dell’Italygate.

L’Italygate è il termine utilizzato per sottolineare il ruolo svolto dall’Italia nell’associare falsamente Trump come agente al servizio del Cremlino, ovvero il famigerato Russiagate.

La storia inizia durante la campagna elettorale USA del 2016, quando Trump viene sottoposto alla sorveglianza dell’FBI, ufficialmente per una sospetta collusione con il governo russo.

Secondo la versione fornita da George Papadopoulos, consulente politico ed ex collaboratore della campagna elettorale di Trump, l’Italia avrebbe avuto un ruolo diretto nel fornire all’FBI le informazioni false per accostare l’attuale presidente americano alla Russia, in modo da avere il pretesto per metterlo sotto sorveglianza.

Papadopoulos infatti tra il marzo e aprile del 2016 si trovava frequentemente a Roma, e durante i suoi soggiorni nella Capitale si è incontrato spesso con Joseph Mifsud, all’epoca professore a contratto della Link Campus University di Roma, presieduta da Vincenzo Scotti, ex ministro dell’Interno.

Mifsud è un personaggio enigmatico che tra l’altro risulta ancora funzionario dell’Autorità protezione dati dell’UE.

Il professore è noto anche per aver tenuto corsi alla Link Campus dove, come spiega lo stesso ex collaboratore di Trump, “l’FBI e la CIA organizzano simposi e formano i funzionari dell’intelligence italiana”.

Papadopoulos racconta di essere stato avvicinato da Mifsud, il quale gli avrebbe prospettato la possibilità di rivelargli informazioni compromettenti fornitegli dal Cremlino proprio su Hillary, allora candidata dem alle presidenziali USA.

Papadopoulos non nutre nessun sospetto su Mifsud, nonostante i suoi stretti rapporti con i servizi segreti americani lo rendessero poco credibile come agente sotto copertura dei servizi segreti russi.

Quindi si dimostra interessato per essersi reso conto solamente in un secondo momento di essere finito in una trappola.

Nella sua intervista a La Stampa infatti dichiara:

“il Russiagate è un complotto ordito per rovesciare il presidente Trump, e l’Italia ha contribuito ad organizzarlo. Io sospetto che i servizi di intelligence di Roma abbiano avuto un ruolo, a partire dal loro rapporto con Joseph Mifsud, che secondo alcune fonti si nasconderebbe nel vostro paese.”

Successivamente Papadopoulos, a Londra, nel maggio 2016 rivela ingenuamente a Alexander Downer, diplomatico australiano vicino ai Clinton, di essere in contatto con Mifsud, pronto a dargli materiale compromettente su Hillary.

Downer informa dell’accaduto l’ambasciatore australiano, il quale a sua volta passa queste informazioni all’FBI che a luglio del 2016 apre l’operazione Crossfire Hurricane, con la quale la campagna Trump viene messa sotto sorveglianza degli agenti federali.

Mifsud, nel frattempo è sparito nel nulla dall’ottobre del 2017, da quando il Washington Post lo menzionò in un suo articolo, e secondo le ultime indiscrezioni fornite da Il Foglio, sarebbe nascosto a Roma.

Questo personaggio resta tuttora la chiave per capire da dove è partito il dossier Russiagate e quali sono i suoi mandanti.

I servizi segreti italiani hanno aiutato Mifsud?

Ma cosa hanno a che vedere i servizi segreti italiani con Misfud? Secondo Roh, autore del libro “The faking of Russiagate”, e avvocato dello stesso docente, i servizi segreti italiani avrebbero contattato Scotti nel 2017 e gli avrebbero domandato di far sparire il professore maltese dalla scena pubblica per metterlo in sicurezza.

A questo punto, le domande sul ruolo dei servizi segreti italiani in questa oscura storia vanno rivolte ai governi Renzi-Gentiloni in carica durante i fatti nei quali è avvenuto questo intrigo.

Renzi e Gentiloni sapevano che i servizi si stavano interessando al caso Mifsud? Soprattutto, se lo sapevano, hanno autorizzato l’intelligence italiana ad intervenire?

Per Papadopoulos, l’azzeramento dei servizi segreti italiani è stato deciso dopo le sue rivelazioni sul professore maltese, e Roma avrebbe agito per rinsaldare il rapporto privilegiato con l’amministrazione Trump.

Questa storia meriterebbe certamente un approfondimento della magistratura per rispondere all’interrogativo più inquietante di tutti: i governi del PD hanno favorito un’enorme operazione di spionaggio illegale contro l’attuale presidente degli Stati Uniti?