“Abito qui da un anno e da un anno sentivo le urla, le finestre in frantumi, le botte sul portone, le risate sguaiate”. Sara abita pochi metri più avanti rispetto a dove abitava Antonio Cosimo Stano, il 66enne bullizzato dai 14 ragazzini oggi indagati e morto in ospedale dopo 18 giorni di agonia il 23 aprile scorso.
“Ho chiamato la polizia, i carabinieri. ‘Signora, abbiamo già segnalazioni di questo tipo’, mi rispondevano – racconta Sara – E nessuno faceva niente e nessuno salvava Antonio. La morte si poteva evitare, certo. Oggi si parla di legittima difesa, e a ragione devo ammettere: se quel pover’uomo avesse avuto una pistola e avesse sparato, forse giustizia sarebbe stata fatta. Questi ragazzini meritano l’ergastolo”.
Scuote la testa e se la tiene con una mano, come a sorreggere un peso troppo grande. “Sono due giorni che non ci dormo. Io sto male – dice ancora all’Adnkronos – Antonio era una bravissima persona, certo ogni paese ha il suo soggetto più debole, diciamo, ma dallo scherno all’ironia passare alla violenza più inaudita è inaccettabile. Ho provato anche io a intervenire, mi sono affacciata ma quelli scappavano ogni volta. Alla fine avevo paura, io sono solo una ragazza. Quelli invece? Bestie, arancia meccanica, hanno detto. Così è”. di Silvia Mancinelli ADNKRONOS