di Carlo Nordio
Alla vigilia della discussione finale sull’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini per il caso “Diciotti”, la nave italiana “Mare Ionio” della Ong “Mediterranea Saving Humans” si ripresenta davanti ai nostri porti chiedendo di far sbarcare 49 migranti. Tenuto conto delle circostanze, e dei gestori del battello, è difficile escludere una coincidenza. Ma di questo diremo più avanti. Per ora, tre considerazioni con altrettante domande.
Primo. Stando alle dichiarazioni del portavoce della marina libica, il gommone dove si trovavano i migranti era privo di motore, e la “Mare Ionio” sarebbe arrivata sul posto prima della stessa locale guardia costiera. Domanda: come ha fatto a trovarsi proprio lì a raccogliere un’imbarcazione più o meno alla deriva?
Secondo. Il medesimo portavoce ha detto che il nostro equipaggio si è comportato scorrettamente, senza cioè ottemperare alla procedura prevista dalla legge del mare per le operazioni di ricerca e soccorso. Domanda: se questo fosse vero, cosa farà la nostra magistratura?
Terzo. La stessa legge del mare prevede che i “naufraghi“ vengano portati in un porto sicuro, possibilmente il più vicino. Ora, oltre alla Libia, vi erano le coste della Tunisia e di Malta. Domanda: perché la Mare Jonio ha fatto rotta verso l’Italia ?
E ora un commento. La prima reazione generale è stata quella ovvia e prevedibile: il salvataggio delle vite umane doveva e deve prevalere su ogni altra considerazione, senza se e senza ma. Verissimo. Ma una volta adempiuto questo obbligo umanitario, le altre questioni restano impregiudicate, e la risposta non può essere genericamente solidaristica, perché il dovere della politica è affrontare i problemi in termini razionali, e non etici o emotivi.
A questo proposito dovremmo tutti domandarci perché abbiamo fatto delle leggi contro i «famigerati trafficanti di carne umana» e poi per anni ne abbiamo assecondato le operazioni; oppure perché dobbiamo concedere a queste organizzazioni criminali la scelta di quali migranti trasportare e quali no, lasciando sul terreno i poveri, i malati, i vecchi, e più in generale quelli che non hanno i cinquemila dollari da pagare ai traghettatori. Risposte che sinora nessuno ha dato e che probabilmente nessuno darà mai, perché significherebbe ammettere quello che tutti sappiamo da tempo: che le centinaia di migliaia di profughi arrivati fin qui non li abbiamo accolti per generosità ma per rassegnazione. Non per carità cristiana, ma per oggettiva incapacità di impedirne l’arrivo.
Ma torniamo alla “Mare Ionio”. Gli organismi competenti accerteranno la dinamica dell’approccio tra la nostra nave e il gommone, e i ruoli ricoperti dai vari protagonisti. Ma tutto lascia presumere che si tratti di uno dei tanti naufragi programmati che già hanno attirato l’attenzione dei nostri inquirenti. E fin qui non ci sarebbe nulla di nuovo. Ma se questo evento fosse stato progettato in vista della decisione di oggi sulla sorte di Salvini saremmo sì di fronte a un’allarmante novità: perché non sarebbe più una programmazione diretta a recuperare migranti che hanno pagato un biglietto, ma una strategia volta a condizionare, in un modo o nell’altro, l’indirizzo del nostro governo.
Perché i casi sono due: o i naufraghi non hanno rischiato nulla, e si è trattato di un’abile ma improbabile simulazione. Oppure hanno realmente rischiato la vita, come sempre peraltro accade quando ci si affida all’incertezza delle onde, alla precarietà dei battelli e alla spregiudicatezza delle bande mafiose. E allora, al di là di ogni considerazione giuridica, ci troveremmo davvero davanti a un comportamento a dir poco cinico che ha messo a repentaglio decine di vite per un puro effetto mediatico. Gli accertamenti in corso forniranno – speriamo presto – la versione ufficiale. Ma gli italiani non sono ingenui, e questa coincidenza non può non averli insospettiti. E forse i sondaggi su Salvini saliranno ancora.