Domani, a Macerata, in tribunale bisognerà reggersi forte. Al processo Oseghale saremo alla giornata decisiva, quella dei medici legali. L’orrore entrerà in aula, con i macabri dettagli sulla fine orrenda di Pamela Mastropietro. A deporre saranno per l’accusa i professori Cigolani e Froldi, per la parte civile Regimenti, Furnari e la criminologa Bruzzone. Non compariranno ancora i medici reclutati per la difesa di Oseghale, che comunque vanta professionisti di valore, a conferma che in Italia il diritto a difendersi non è affidato certo alle tribù nigeriane. Il collegio difensivo si farà ascoltare in un’udienza successiva.
La triste partita sull’assassinio di Pamela si giocherà sul momento della sua morte, prima dell’orrendo rituale del sezionamento del suo corpo in più parti. A meno che non si dimostri che quella pratica iniziò con la ragazza ancora in vita.
Dissanguata per le coltellate – – La difesa del nigeriano punta le sue carte su un’overdose fatale che avrebbe ammazzato la giovane. E quindi di aver trovato tracce di eroina nel suo sangue e che le lesioni riscontrate erano su un corpo già privo di vita.
Una tesi che fa a pugni con quanto affermano l’accusa e la parte civile. Pamela non è stata uccisa dalla droga, ma dalla violenza subita. E probabilmente saranno elencate con la precisione fredda di chi conosce alla perfezione il corpo umano, le lesioni sulla fronte, sulle braccia, i fori sui fianchi, le ferite inflitte al fegato. Il tutto indicando anche i momenti diversi di quello che i medici legali certificano come un delitto. Dando valore scientifico – con i sofisticati esami di laboratorio compiuti – anche alle parole del supertestimone Marino, che ha riferito di aver raccolto in carcere le confessioni di Oseghale.
Lei voleva denunciare il nigeriano – – Dai medici legali ci si aspetta il riscontro a quanto riferito dal teste, che solo dall’imputato avrebbe potuto apprendere com’è stata assassinata Pamela. Prima il rapporto sessuale tra i due; poi la minaccia di lei di voler andare a denunciare il nigeriano; lui perde la testa e le dà una coltellata; per poi allontanarsi un paio d’ore, rientrare e colpirla di nuovo, in maniera decisiva e mortale, facendola crepare dissanguata.
Quindi, la brutale decisione di fare a pezzi il corpo. La testa. Il busto. I fianchi. Le gambe. La vittima lavata con candeggina per cancellare ogni prova. Con consumata freddezza e abilità. Secondo gli esperti, un medico legale bravo ci metterebbe quattro ore. Oseghale ha fatto tutto in poco più di tre ore, tagliando ogni pezzo a misura per le due valigie in cui mettere i resti della povera Pamela.
Davvero si può pensare a una cosa del genere per un’overdose di droga? Il paziente lavoro di distruzione della salma non è certo tipico di una persona spaventata per trovarsi di fronte ad una ragazza uccisa dalla droga. Se le perizie confermeranno che si è invece trattato del macabro tentativo di far sparire ogni possibilità di essere individuato come il responsabile dell’omicidio, nessuno riuscirà a togliere l’ergastolo ad Oseghale. Che pagherà così l’efferatezza inumana del suo delitto ai danni di una ragazzina.