Imola – Sarà inaugurata sabato 9 marzo alle ore 17.30 al Museo Diocesano di Imola (piazza Duomo 1) la mostra “Gloria in excelsis – Cartegloria dal XVII al XIX secolo in Diocesi di Imola” a cura di Lorenzo Lorenzini e Marco Violi. Seguiranno l’apertura e la visita guidata della mostra.
L’esposizione, allestita nella Galleria Pio VII del vescovado dal 9 marzo al 30 aprile, propone oltre 100 cartegloria assolutamente inedite, realizzate in materiali vari – prevalentemente legno intagliato dorato o argentato, come anche lamina metallica sbalzata, cesellata e argentata, sino all’argento cesellato – oltre che di dimensioni molto differenti, da poche decine di centimetri a quasi un metro di larghezza. Si tratta di manufatti generalmente di grande qualità esecutiva e indubbia rarità, provenienti dalle raccolte del Museo diocesano di Imola (con pezzi in deposito da chiese cittadine quali Sant’Agostino e San Domenico), dei musei parrocchiali di Castel Bolognese e Bagnara di Romagna, dal capitolo della Cattedrale di Imola, dalla Collegiata di Lugo, dalle parrocchiali di Mordano, Massa Lombarda, San Prospero, Sant’Agata, Giovecca di Lugo, dalla chiese rettoriali di Santa Maria dei Servi di Imola e delle Stimmate di Lugo, infine dalle clarisse nel monastero di Santo Stefano di Imola.
I pezzi esposti – databili tra la seconda metà del Seicento e l’ultimo Ottocento – sono opera di botteghe operose prevalentemente sul territorio emiliano-romagnolo, fra cui si segnala quella prestigiosa dei Giuliani, attiva a Imola tra XVII e XVIII secolo.
L’esposizione prosegue il percorso di mostre sul tema delle arti minori, con particolare riferimento all’arredo liturgico, a cui il Museo diocesano ha dedicato un fitto calendario di esposizioni tematiche tra il 2016 e il 2018 (reliquiari antropomorfi, ad ostensorio, calici liturgici, ostensori, tabernacoli da viatico, come anche – in parte – nel caso della mostra con scrigni e cofanetti, oggetti che spesso mutarono l’uso profano in sacro divenendo contenitori per reliquie).
“Gloria in excelsis” offre una panoramica piuttosto precisa sulle varie tipologie di questi manufatti, i cui esemplari superstiti sono oggi piuttosto rari, consentendone una conoscenza non solo a livello dei materiali con cui sono costruiti, sulle botteghe o sugli artefici, ma anche circa le loro peculiari funzioni.
Per l’occasione è in corso di stampa un’agevole guida alla mostra che sarà messa a disposizione dei visitatori.
Tra gli highlights in mostra sarà possibile ammirare il monumentale esemplare Luigi XIV con magnifica cimasa a cartoccio in prestito dal Museo parrocchiale di Castel Bolognese; il servizio completo (dalla parrocchia di Mordano) di manifattura emiliana e datato 1784, realizzato in metallo in lamina argentato finemente sbalzato, su cui sono incise le iniziali del committente don Domenico Matteucci, arciprete di Mordano dal 1741 al 1785. L’immagine al centro della cimasa della cartagloria centrale, in cui si nota la Madonna con Gesù ritto sulle sue ginocchia, fa supporre che si tratti del servizio in uso nell’altare dedicato alla veneratissima Madonna delle Grazie, posta nel coro proprio sopra all’altare maggiore. Questo servizio può essere facilmente messo in relazione con un altro realizzato nello stesso materiale – di ricchissima decorazione a carattere vegetale – in prestito dalla chiesa dei Servi di Imola, in cui è ben visibile lo stemma dell’ordine dei Servi di Maria.
Degno di nota il trittico proveniente dalla parrocchiale di San Prospero, in legno intagliato e argentato, dalla inconsueta forma schiacciata e allungata, il cui pantheon decorativo mischia sapientemente motivi Luigi XVI con altri di smaccato gusto impero, posticipandone la data di esecuzione già al terzo/quarto decennio dell’Ottocento. Interessante è poi il trittico in legno argentato a mecca proveniente dalla parrocchiale di Giovecca di Lugo, la cui datazione 1733 lo collega direttamente con la monumentale ancona posta sull’altare dell’oratorio lauretano di Passogatto, opera dell’intagliatore forlivese Tinarelli. Molto ampia è la carrellata che ci fornisce il prestito della Cattedrale di Imola: dall’esemplare della fine del Seicento con carta all’acquaforte acquerellata, prodotta dai famosi Remondini di Bassano (famiglia veneta di editori, fiorita a Bassano tra il 1650 e il 1860), a quelli usciti dalla rinomata bottega imolese di Gioachino Meluzzi, appositamente realizzati (come tutto l’arredo) per l’altare di san Pietro Crisologo, a quello bolognese (sec. XVIII-terzo/quarto decennio) di magnifico intaglio rocaille in legno dorato (la cartagloria centrale è stata scelta come immagine di mostra), al grande servizio per più altari (composto da 4 centrali e 8 laterali) documentato nella cronaca Leziroli per l’anno 1811, acquistato a poco prezzo, sino a quelli ottocenteschi e piccolissimi (cm 21×15).
Dalla Collegiata di Lugo, tra gli altri, arrivano quattro raffinatissimi esemplari rococò, oltre che un particolare trittico tardo ottocentesco le cui cornici dorate sono decorate da delicati ramages floreali dipinti ad olio in policromia; sempre dalla stessa chiesa, quattro esemplari Luigi XIV realizzati, molto probabilmente (manca il punzone) da un argentiere veneziano, dal finissimo sbalzo a motivi vegetali intrecciati. Dalla raccolta del Diocesano, infine, il trittico dalle mature forme barocche – datato 1653 – riconducibile alla rinomata bottega imolese dei Giuliani, quello magnifico intagliato da Giuseppe Giuliani e dorato da Bernardino Ventura (1690-1697), un tempo sull’altare Fontana della chiesa di Sant’Agostino; quello di pulitissima linea e decoro neoclassici, la cui carta interna di ornamentazione neogotica, reca indicato il nome dello stampatore Benziger & Co., nota casa editrice con sedi a New York, Cincinnati e Chicago fondata nel 1833 e attiva – dopo numerosi passaggi di proprietà e cambi societari – sino ai giorni nostri.
Cartegloria
La funzione delle cartegloria è strettamente correlata alla celebrazione della messa secondo il rito preconciliare, pertanto, con l’introduzione della moderna liturgia, l’uso di queste suppellettili è completamente decaduto. Si tratta di tre tabelle da posizionare sull’altare che contengono il testo di alcune parti della messa, quelle che non cambiano mai nelle diverse funzioni liturgiche: nella centrale il Gloria, nelle due laterali il Lavabo e In Principio. Sono le Istruzioni di San Carlo Borromeo che nel 1576 codificano l’utilizzo della sola carta contenente il Gloria e dal quale ne deriva il nome; precisa poi l’utilizzo di una cornice, maggiormente sontuosa per le funzioni solenni. Nel corso del Seicento il rito romano introdusse anche le due tabelle laterali le cui dimensioni minori furono ampiamente sfruttate in senso decorativo. Il servizio completo consta generalmente di tre elementi separati, ma non sono infrequenti casi in cui le tre tabelle confluiscono in un unico fluido disegno o sono circoscritte entro una partizione unitaria. Certo è che l’elemento determinante diviene ben presto la cornice, mentre l’iscrizione finisce per essere un testo semplicemente stampato o decorato da qualche elemento vegetale. Soltanto con le produzioni industrializzate di fine Ottocento, quasi a risarcire la modestia dei prodotti, la stampa si anima di fregi vegetali o di elementi architettonici spesso in stile neomedievale.
I materiali e i disegni si allineano e quelli dell’arredo profano e, benché vada rispettato il codice imposto dalla collocazione sull’altare, gli artigiani dispiegano tutto il ricco repertorio di festoni, testine angeliche, volute, modanature a cui si aggiungono, secondo l’epoca e lo stile, cimase spezzate, serti di fiori, piedi ferini, drappeggi e conchiglie, colonne, capitelli e gradini. Ebano e argento, metalli sbalzati, legno intagliato, dorato e argentato, laccato o dipinto, madreperla, coralli e intarsi sono alcuni dei materiali utilizzati per innalzare alcuni momenti della celebrazione celati all’assemblea dei fedeli. Quelle formule erano infatti recitate dal sacerdote a bassa voce, chinato sulla mensa, in un mormorio e una posizione che hanno determinato la locuzione di tabella delle segrete. II cambiamenti dei testi della messa e il vento nuovo del Concilio Vaticano II non potevano che rendere inutili queste suppellettili, tanto lontane dal nuovo orientamento della liturgia ma così pericolosamente vicine, come gusto e stile, a specchiere e cornici. E così dagli altari alle soffitte, poi alle vetrine degli antiquari e infine su un cassettone o un tavolino, il percorso di queste suppellettili negli ultimi cinquant’anni è stato piuttosto lineare. Fortunatamente non tutti gli enti ecclesiastici hanno ritenuto le cartegloria un’inutile zavorra, ne è dimostrazione questa mostra che ne ripercorre l’evoluzione stilistica all’interno del territorio imolese. La ricchezza degli intagli, la finezza dello sbalzo e l’esuberanza del repertorio decorativo raccontano di un’attenzione sempre vivissima da parte del clero locale che, certamente, stimolava con le proprie richieste le botteghe artigiane ad aggiornarsi su modelli delle città vicine. È facile cogliere influssi bolognesi, qualche volta veneziani, a loro volta allineati a panorami vasti che comprendevano echi francesi e romani. È però la qualità di questi oggetti che stupisce sempre, l’opera di questi artigiani, sconosciuti nella quasi totalità dei casi, che non è difficile immaginare chini sul lavoro, magari sotto lo sguardo benevolo di un parroco venuto a verificare il procedere della sua commissione.
Alla riscoperta delle arti minori
Il ruolo del Museo Diocesano di Imola, fondato nel 1962 da monsignor Antonio Meluzzi, è sì quello di conservare ed esporre le opere d’arte provenienti dalle chiese della diocesi, ma anche e soprattutto quello di esaltare il valore, il contesto, di opere che fanno parte dell’esperienza spirituale della comunità cristiana. Si tratta, perciò, di testimonianze che sono espressione concreta di un radicamento dell’identità locale nella vita della Chiesa particolare. È evidente, allora, che il Diocesano non è più solamente un luogo di deposito – più o meno temporaneo – di materiali artistici, ma una testimonianza del percorso culturale e dell’impulso spirituale della comunità legata ad un territorio la cui storia civile e religiosa, l’esperienza di fede, il vissuto di tante generazioni si sono espressi in preziose testimonianze artistiche, in un prodigioso patrimonio culturale, capace di presentare un messaggio religioso sempre vivo ed attuale.
Perciò il nostro museo, da alcuni anni a questa parte, ha intrapreso un vero e proprio cammino alla riscoperta di quei materiali artistici perlopiù sacri che, per consuetudine, vengono inseriti all’interno delle cosiddette arti minori. Crediamo infatti – nel XIII e XIV secolo, peraltro, il concetto di arte minore non trova alcun fondamento – che le forme di produzione alternative alla pittura, alla scultura e all’architettura (ossia le arti maggiori) siano meritevoli di una particolare attenzione: spesso costruiti con materiali preziosi, questi oggetti hanno contribuito in maniera determinante alla divulgazione in aree lontane degli stili delle loro zone di provenienza. Non è un caso che i prodotti delle arti decorative o applicate, a partire dal primo Ottocento, comincino ad essere studiati e valorizzati nei musei, e più profusamente nel XIX e XX secolo, spesso col fine didattico di istruire le giovani generazioni di artigiani nel solco di una tradizione autorevole, in un contesto revivalistico che comprende realtà neomedievali – si pensi che nel Medioevo la considerazione riservata alle arti minori e ai suoi artefici fu tanto alta quanto quella per le arti maggiori – come l’Arts and Crafts inglese o l’italiana Aemilia ars. Inoltre, non dimentichiamo che il concetto di utilitas non sempre è stato considerato negativo: la funzione pratica di un oggetto non ne svilisce e decresce la bellezza, così come il suo valore suntuario ne favorisce la durata (l’oggetto prezioso viene così reimpiegato o rilavorato in oreficeria, quello utile lo si continua a usare, come nel caso dei codici miniati). Ecco allora che il Museo diocesano di Imola, dal 2015 ad oggi, ha promosso al suo interno le mostre monotematiche sui tesori della cattedrale di Imola, sui reliquiari ad ostensorio, su quelli antropomorfi, sui manufatti monastici, sugli ostensori, sui calici, sui tabernacoli da viatico, aventi tutte per oggetto materiali afferenti le arti sacre minori. In soluzione di continuità con queste si sono svolte mostre sulla piccola plastica devozionale in terracotta, sui gioielli in micromosaico, sull’orologeria e sulla grafica antiche e – ultima della serie – quella che ha proposto una raffinata e preziosa selezione di scrigni e cofanetti prodotti tra l’XI secolo e il primo ‘900, in una suggestiva lettura a cavaliere tra sacro e profano, conclusasi all’inizio dello scorso febbraio. Con una particolare attenzione a mostrare non solo il vasto e variegato patrimonio artistico diocesano, ma cercando di porlo anche a confronto con opere provenienti da raccolte pubbliche e, spesso e volentieri, anche private.
“Gloria in excelsis. Cartegloria dal XVII al XIX secolo in Diocesi di Imola” rappresenta, dunque, l’ultimo virtuoso esempio di quanto sino ad ora affermato, laddove la fattiva collaborazione tra studiosi ed istituzioni museali non necessariamente del territorio, diviene strumento di promozione di un progetto culturale atto alla riscoperta, valorizzazione e conoscenza di materiali artistici di uso liturgico – da molti decenni caduti in disuso, ancorché spesso di pregevolissima fattura – sottraendoli ad un destino di oblio e sicura dispersione.
Orari di apertura e visite guidate
martedì, mercoledì e giovedì: ore 9-12
martedì e giovedì: ore 14-17
sabato: ore 10-13 / 15.30-18.30
domenica: ore 15.30-18.30
Il Museo Diocesano offre ai suoi visitatori un servizio dedicato di visite guidate gratuite alla mostra “Gloria in excelsis”. Ogni sabato dal 16 marzo al 27 aprile compresi alle ore 17 con ritrovo nella Sala grande del Museo Diocesano.