Punto di riferimento per milioni di cittadini che vivono in piccoli paesi di montagna o nelle isole, le farmacie rurali sono 6.800 ‘presidi di salute’, sparse in luoghi difficilmente raggiungibili, dove spesso mancano perfino ambulatori e uffici postali. Ma molte di loro lottano per sopravvivere, tra fatturati che diminuiscono e difficoltà di gestione. “Se continua così, almeno un migliaio sono a rischio chiusura”, spiega Silvia Pagliacci, presidente del Sunifar, il Sindacato dei Farmacisti Rurali di Federfarma.
Sono chiamate ‘farmacie rurali’ quelle che si trovano in centri abitati sotto i 5.000 abitanti, e sono equamente distribuite a Nord, Centro e Sud Italia: alcune regioni ne hanno una maggior presenza come Sardegna (318), Veneto (545), Calabria (472), Piemonte (697), Toscana (438), Emilia Romagna (521). Ben 2.000 sono in comuni sotto i 1.500 abitanti e 274 in comuni con meno di 500 abitanti, dove i residenti sono pochi, anziani e a basso reddito. “In questi particolari casi spesso le spese di gestione e le tasse annullano quasi i guadagni”, prosegue Pagliacci.
A monte del problema vi è lo spopolamento dei piccoli centri e la riduzione progressiva dei servizi fondamentali, che ha un riflesso sui consumi di medicinali. Ma non è l’unica criticità. “Tra i motivi di difficoltà – precisa – oltre all’aumento della vendita di farmaci equivalenti (su cui la farmacia ha minor guadagno), vi è la scelta delle regioni di diminuire la Distribuzione di Farmaci per Conto, a favore della Distribuzione Diretta: questo significa che il paziente che prima ritirava i medicinali dispensati dal Servizio Sanitario Nazionale nella farmacia sotto casa ora deve andare a ritirarli in ospedale o centri di erogazioni delle Asl, tra l’altro a sue spese e con problemi di spostamento”. Le 4.700 farmacie rurali che si trovano in centri con meno di 3.000 abitanti ricevono un sussidio “ma non è mai stato rivalutato dal 1969, e oggi il suo valore è 20 volte in meno quello iniziale”. ansa salute