Così il governo ‘femminista’ ha distrutto la Svezia e i diritti delle donne

Deputate svedesi (finte) femministe in Iran
  • A detta di Mikaela Blixt, dopo che un uomo l’aveva aggredita per strada e aveva tentato di violentarla, la polizia non ha fatto nulla, pur sapendo dove abitava l’aggressore e potendo facilmente identificarlo.
  • Secondo la Blixt, il quotidiano mainstream svedese Expressen avrebbe voluto intervistarla, ma unicamente a condizione che lei non dicesse che il suo aggressore era un migrante afgano.
  • Non solo le donne, ma quasi uno svedese su tre non si sente sicuro in Svezia, secondo un nuovo sondaggio che ha chiesto a 6.300 svedesi quanto si sentano al sicuro dentro e fuori casa.
  • È curioso che la polizia svedese non abbia soltanto risorse sufficienti per caricare i partecipanti alle manifestazioni di pace, ma anche per incriminare coloro che avrebbero commesso reati d’opinione.

“La Svezia”, dichiarava il governo di Stoccolma nel novembre 2015, “ha un governo femminista. Noi poniamo l’uguaglianza di genere al centro del nostro lavoro nazionale e internazionale. (…) L’obiettivo generale della politica sull’uguaglianza di genere del governo è che uomini e donne abbiano lo stesso potere di plasmare la società e la propria vita. Questa è sostanzialmente una questione di democrazia e giustizia sociale”.

Aspettate un attimo, le donne che vivono sotto un “governo femminista” non dovrebbero essere in grado – come minimo – di uscire di casa senza avere paura di essere vittime di violenza sessuale?

Secondo il Consiglio nazionale svedese per la prevenzione della criminalità (Brottsförebyggande rådet, or Brå), nel 2017, sono stati denunciati alla polizia svedese 22 mila reati a sfondo sessuale, 7.370 dei quali erano stupri, Queste cifre corrispondono a una media di 20 stupri al giorno – il doppio rispetto al 2005. E questi sono soltanto i casi di stupro denunciati. Secondo il Brå, nel 2012, ad esempio, è stato denunciato solo il 20 per cento di tutte le violenze carnali.

A differenza di ciò che i media svedesi predicano da anni – ossia che la maggior parte degli stupri si verificano in ambienti privati e sono commessi contro vittime che già conoscono i loro aggressori – la grande maggioranza delle violenze carnali è di fatto perpetrata in ambito pubblico da individui sconosciuti alle vittime, secondo il Brå. Degli 842 uomini condannati per stupro o per tentato stupro negli ultimi cinque anni, come rilevato da un servizio trasmesso dall’emittente televisiva pubblica Svt Nyheter, il 58 per cento era di origine straniera – individui provenienti dal Medio Oriente e dal Nord Africa, dall’Africa meridionale e da altri paesi extraeuropei. Nei casi in cui i responsabili delle violenze sono stati condannati per tentato stupro, nonché per stupro violento, in cui la vittima e il carnefice non si conoscevano prima, l’80 per cento di questi uomini era nato all’estero e il 40 per cento era in Svezia solo da un anno o meno.

Indurre la polizia a indagare su un tentativo di stupro ai danni di una donna è, a dir poco, difficile – e questo è un indice del fatto che c’è qualcosa che non va nel regno “femminista” di Svezia.

Nella cittadina di Deje, nella Svezia centrale, ad esempio, un migrante afgano, ospite di un centro di accoglienza per migranti, ha di recente aggredito, accoltellato e tentato di violentare una donna, Mikaela Blixt, mentre camminava con il suo cane in pieno giorno.

L’aggressore ha prima preso a calci il cagnolino della donna, scaraventando quest’ultima a terra e accoltellandola a un fianco. La Blixt è riuscita a scappare e a fare ritorno a casa con il cane. Scioccata e sanguinante, ha cercato di denunciare l’accaduto alla polizia.

I tentativi si sono dimostrati pressoché impossibili. Quando la Blixt ha telefonato al numero di emergenza svedese, la polizia ha rifiutato persino di parlarle. Le è stato detto che non essendo l’aggressione in corso avrebbe dovuto telefonare al numero di non emergenza. “Se vuole denunciare l’aggressione dovrebbe rimanere in linea per non perdere la priorità acquisita”, l’ha avvisata una poliziotta, secondo quanto riferito dalla Blixt. Dopo aver trascorso quasi l’intera giornata a cercare invano di parlare telefonicamente con le forze dell’ordine, il giorno successivo la donna si è recata alla prima stazione di polizia della città vicina dove, 24 ore dopo l’aggressione, gli agenti hanno finalmente raccolto la segnalazione.

Dopo essersi recata dalle forze dell’ordine, la Blixt ha trovato le prove della sua aggressione sessuale all’esterno del centro di accoglienza per migranti, dove erano appesi ad asciugare – dopo essere stati lavati – i pantaloni dell’aggressore, che però potevano ancora avere sopra tracce del sangue della donna. La Blixt ha informato di questo la polizia, che quel giorno era troppo occupata per mettere al sicuro la prova. Di fatto, secondo la Blixt, la polizia non ha fatto nulla, pur sapendo dove abitava l’aggressore e potendo facilmente identificarlo.

La donna ha scritto della sua esperienza su una pagina Facebook della comunità locale, nell’apparente tentativo di mettersi in contatto con un’altra donna, la quale era stata stuprata nella zona due settimane prima. Il post ha ottenuto migliaia di condivisioni, il che ha indotto la polizia a contattare la Blixt e ad ammonirla del fatto che stava danneggiando le indagini in corso, che a quanto pare non erano state avviate neanche vagamente. La polizia si è inoltre rifiutata di diffondere l’identikit dell’aggressore, affermando, incomprensibilmente, che il perpetratore avrebbe potuto rendere l’indagine “più difficile”.

Sebbene la polizia non avesse presumibilmente avuto né il tempo né le risorse per intervenire, è però accorsa in forze quando 80 cittadini di Deje hanno partecipato a una manifestazione di solidarietà nei confronti della Blixt e “contro la violenza”. Due pattuglie della polizia e un agente in borghese hanno sorvegliato la dimostrazione pacifica e al termine della quale hanno accusato l’organizzatore di violazione dell’ordine pubblico, contestandogli il fatto di non aver chiesto il permesso di manifestare. La polizia svedese non ha problemi con gli stupratori migranti, ma non sopporta le improvvise manifestazioni pacifiche.

A detta della Blixt, il quotidiano mainstream svedese Expressen avrebbe voluto intervistarla, ma unicamente a condizione che lei non dicesse che il suo aggressore era un migrante afgano.

Ma il fatto sconvolgente è che la polizia sembrava così deliberatamente disinteressata a trovare e ad arrestare lo stupratore – almeno finché il caso non è diventato virale su Facebook. Solo una settimana dopo l’aggressione alla Blixt, tre donne della vicina città di Karlstad sono state violentate nella stessa notte. Il giorno dopo, una quarta donna è stata vittima di un tentato stupro.

Che la polizia non dia priorità a questi casi di violenza sessuale non sembra essere una novità. Nel settembre 2017, la polizia svedese ha ammesso di non avere sufficiente personale per risolvere i casi di stupri, anche in quei casi in cui gli inquirenti conoscevano l’identità dello stupratore.

È curioso, poi, che la polizia svedese non abbia soltanto risorse sufficienti per caricare i partecipanti alle manifestazioni di pace, ma anche per incriminare coloro che avrebbero commesso reati d’opinione. A ottobre, Christopher Larsson, un politico del partito dei Democratici svedesi (Sd) del consiglio comunale di Karlskrona, è stato accusato di “incitamento all’odio” ((“hets mot folkgrupp“) dopo che aveva scritto sulla pagina Facebook dell’Sd:

“È un giorno di dolore venerdì, quando dal minareto echeggerà per la prima volta su Karlskrona la formula ‘Allah è grande’, che corrisponde [in arabo] a ‘Allahu Akhbar’, la stessa espressione che gli islamisti urlano quando si fanno esplodere”.

Un parlamentare dei Socialdemocratici, Magnus Manhammar, ha denunciato Larsson alla polizia. I Socialdemocratici – il partito che di fatto governa ancora il paese, dato che la Svezia non è riuscita a formare un nuovo governo dopo le elezioni tenutesi a settembre – hanno persino diffuso un comunicato stampa in cui si diceva che il post su Facebook di Larsson “collega il nuovo minareto al terrorismo”. Secondo il pubblico ministero questo post “identifica i musulmani come biasimevoli considerandoli terroristi e oppressori delle donne e sostenendo che le loro opinioni sono medievali”.

Per inciso, non solo le donne, ma quasi uno svedese su tre non si sente sicuro in Svezia, secondo un nuovo sondaggio che ha chiesto a 6.300 svedesi quanto si sentano al sicuro dentro e fuori casa. Incredibilmente, quando il quotidiano che ha condotto il sondaggio ha chiesto alla psicologa Siri Helle di spiegare questo dato statistico, la professionista ha detto che la gente era solo “spaventata dal buio”: “Viviamo in uno dei paesi più sicuri al mondo e non siamo mai stati così al sicuro come lo siamo ora”.

Quello che potrebbe essere importante chiedersi è: cosa sta accadendo alla Svezia?

Judith Bergman è avvocato, editorialista e analista politica. È Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute.