- La Svezia, l’autoproclamata “superpotenza umanitaria”, fiera di difendere i “diritti umani”, ha deciso di tenere lontano dai nonni un bambino di 6 anni che ha perso la madre e di trasferirlo in un orfanotrofio in Ucraina. Allo stesso tempo, la Svezia si rifiuta di espellere i peggiori criminali e terroristi se c’è il minimo rischio che venga loro fatto del male nel paese in cui verrebbero rimpatriati.
- Nonostante le aspre critiche mosse dai più alti uffici governativi svedesi, il governo di Stoccolma ha sfidato la legge svedese per consentire a 9 mila uomini afgani per lo più privi di documenti, le cui domande di asilo sono state respinte, di studiare nelle scuole superiori insieme agli adolescenti svedesi.
- Già nel 2011, un reportage pubblicato dal quotidiano Dagen mostrava che le domande presentate dai richiedenti asilo cristiani in Svezia venivano respinte con maggiore frequenza rispetto a quelle presentate dai richiedenti asilo musulmani.
A ottobre, la Svezia, alla quale pare che piaccia considerarsi una “superpotenza umanitaria”, ha deciso di espellere un bambino di 6 anni e di estradarlo in Ucraina. Il piccolo era rimasto orfano di madre e il padre, che vive in Ucraina, ha formalmente rinunciato alla custodia del figlio davanti a un tribunale ucraino. Il bambino, di nome Denis, non ha altri parenti in Ucraina, pertanto dovrebbe finire in orfanotrofio.
Nel 2015, la madre di Denis lo portò con sé in Svezia, dove già vivevano i suoi genitori, e fece richiesta per ottenere un permesso di soggiorno per lei e il figlio, richiesta che però fu respinta per motivi che sembrerebbero ancora sconosciuti. I media non sembrano aver indagato sulle ragioni che hanno portato alla bocciatura della richiesta del permesso di soggiorno. L’Ufficio immigrazione svedese (Migrationsverket) ha deciso di espellere Denis, anche se vive con i nonni materni, che hanno chiesto di adottare il bambino.
“È improbabile che qualcuno possa adeguatamente prendersi cura di Denis al suo ritorno in Ucraina”, ha scritto l’autorità competente in materia di immigrazione, motivando altresì inspiegabilmente questa decisione come presa “nel miglior interesse del bambino”.
Il fatto che il piccolo sia tecnicamente un orfano e che i suoi nonni, con cui vive in Svezia, abbiano avviato una procedura di adozione, non è sufficiente per fermare l’espulsione, ha dichiarato Karin Fährlin, capo unità al Migrationsverket.
“La questione riguarda (…) un bambino che è cittadino ucraino e poi soprattutto la famiglia o il padre, o le autorità ucraine che devono rispondere di questo bambino. Questa è la motivazione [dell’espulsione]”, ha detto la Fährlin.
La decisione di espellere Denis, dopo che è stata resa pubblica in Svezia ha provocato un enorme scandalo. Più di 60mila svedesi hanno firmato su Facebook una petizione di protesta contro l’espulsione e diversi personaggi famosi e politici hanno espresso la loro indignazione per la decisione. “Sua madre è appena morta. Non ha padre. Ha sei anni e non può stare con i nonni in Svezia, ma sarà espulso e trasferito in un orfanotrofio ucraino. Questo è disumano e disgustoso”, ha scritto Jessica Almenäs, un personaggio televisivo.
La pressione esercitata dall’opinione pubblica è diventata eccessiva. I funzionari del Migrationsverket hanno temporaneamente sospeso l’espulsione e hanno ammesso di aver preso la decisione “troppo in fretta”.
“Ci sono diverse misure investigative che dovremmo prendere”, ha dichiarato Per Ek, addetto stampa del Migrationsverket. “Questo è ciò su cui lavoreremo ora.”
Le decisioni sbagliate vengono prese costantemente dalle autorità statali e dalle agenzie governative; ciò che rende differente questa decisione è che è stata presa dalle autorità svedesi competenti in materia di immigrazione, il cui ministro degli Esteri sostiene che il paese è una “superpotenza umanitaria”.
La Svezia, l’autoproclamata “superpotenza umanitaria”, fiera di difendere i “diritti umani”, ha deciso di tenere lontano dai nonni un bambino di 6 anni che ha perso la madre e di trasferirlo in un orfanotrofio in Ucraina. Allo stesso tempo, la Svezia si rifiuta di espellere i peggiori criminali e terroristi se c’è il minimo rischio che venga loro fatto del male nel paese in cui verrebbero rimpatriati.
In contrasto con la decisione di espellere il piccolo Denis, il parlamento svedese ha approvato a giugno una legge speciale che consente a un numero molto elevato di richiedenti asilo la cui domanda era stata respinta di rimanere in Svezia, nonostante le dure critiche mosse dalle più alte autorità governative. La nuova legge ha consentito a 9 mila “minori” non accompagnati provenienti dall’Afghanistan, le cui domande di asilo sono state respinte – e che quindi avrebbero dovuto essere espulsi – di ottenere permessi di soggiorno temporanei in Svezia.
Si è scoperto che circa 7mila di questi “minori non accompagnati” avrebbero più di 18 anni e pertanto non sono affatto minorenni. I permessi di soggiorno temporanei vengono rilasciati quando i “minori” intendono frequentare le scuole superiori o se sono già iscritti. In particolare, anche coloro che facevano parte di quei 9mila minori le cui identità non sono state verificate – presumibilmente perché privi di documenti – sono stati autorizzati a rimanere nel paese.
Pertanto, nonostante le aspre critiche mosse dai più alti uffici governativi svedesi, il governo di Stoccolma ha sfidato la legge svedese per consentire a 9 mila uomini afgani per lo più privi di documenti, le cui domande di asilo sono state respinte, di studiare nelle scuole superiori insieme agli adolescenti svedesi.
Sia la polizia sia i tribunali svedesi per i migranti hanno fortemente criticato la normativa, perché è in netto contrasto con la legge svedese, la quale richiede l’identificazione di coloro che intendono rimanere nel Paese. Indebolendo questo requisito, si riduce la capacità delle autorità svedesi di sapere chi vive nel Paese.
Il Consiglio legislativo svedese (Lagrådet), un ente governativo composto da giudici in carica e in pensione della Corte suprema che deliberano sulla validità giuridica delle proposte legislative, in merito alla misura ha espresso la critica più aspra che abbia mai mosso. Ha scritto che “è stato raggiunto il limite per ciò che è accettabile per quanto riguarda il modo in cui la legislazione può essere formulata”. Tuttavia, questo verdetto non ha impedito al parlamento svedese di approvare comunque la legge. E neanche il fatto che la maggioranza degli svedesi – il 54 per cento – fosse contraria a lasciar rimanere i 9mila afgani. Secondo il governo, nei prossimi tre anni i contribuenti dovranno sostenere una spesa che ammonterà a più di 2,9 miliardi di corone svedesi (circa 319 milioni di dollari) per assorbire i 9mila “minori” afgani.
La Svezia ha quindi stabilito che un bambino vulnerabile di 6 anni che ha appena perso sua madre e che vive con i nonni e frequenta una scuola materna svedese deve essere espulso. (Almeno fino a quando l’indignazione dell’opinione pubblica non l’ha costretta a riesaminare la sua decisione.)
Purtroppo, la decisione di espellere Denis non sembra affatto un errore occasionale, anzi rivela una tendenza della Svezia a favorire alcuni gruppi di immigrati rispetto ad altri.
Già nel 2001, un reportage pubblicato dal quotidiano Dagen mostrava che le domande presentate dai richiedenti asilo cristiani in Svezia venivano respinte con maggiore frequenza rispetto a quelle presentate dai richiedenti asilo musulmani. Di tutti i profughi cristiani che avevano fatto richiesta di asilo in Svezia nel 2000, meno della metà (il 40 per cento) ha ottenuto l’asilo. Nel gruppo musulmano, è stato concesso l’asilo al 75 per cento di tutti i richiedenti.
Dopo la caduta di Saddam Hussein nel 2003, la persecuzione dei cristiani iracheni da parte dei jihadisti iniziò ad aumentare in modo esponenziale. Eppure, nel 2009, la Svezia respinse 25 richiedenti asilo cristiani iracheni rimandandoli in Iraq. Di questi 25 cristiani iracheni espulsi, 24 fuggirono di nuovo dall’Iraq, mentre uno si nascose a Mosul, secondo Sveriges Radio, l’emittente radiofonica pubblica nazionale svedese.
Una coppia cristiana, che era fuggita dall’Iraq nel 2005 e aveva vissuto in Svezia per quattro anni, fu rimpatriata in Iraq nel 2009. Da lì, i due poi raggiunsero la Turchia. “Abbiamo amato la Svezia e gli svedesi, ma non dimenticherò mai come ci hanno trattato in maniera disumana le persone che ci hanno cacciato. È stato un incubo. Erano davvero svedesi?” ha raccontato a Sveriges Radio la coppia.
All’epoca, l’emittente radiofonica pubblica nazionale svedese parlò anche con Nina Shea, a capo della Commissione sulla libertà religiosa internazionale degli Stati Uniti, la quale affermò che era in atto una pulizia etnica dei cristiani e che bastava essere cristiani in Iraq per essere perseguitati. Anche le organizzazioni per la salvaguardia dei diritti umani dichiararono che non era sicuro per i cristiani fare ritorno in Iraq perché di certo sarebbero stati perseguitati per la loro fede religiosa.
Ma nulla di tutto questo ha impedito alle autorità competenti in materia di immigrazione di cacciare i cristiani. Le autorità hanno continuato a ribadire che i cristiani “non hanno un motivo plausibile per rimanere, visto che non c’è alcun rischio reale e prevedibile di essere sottoposti a gravi abusi fisici” facendo ritorno in Iraq.
Nel 2014, la “superpotenza umanitaria” cacciò minoranze cristiane, come gli assiri, rimandandole in Iraq, dove l’Isis era apparso sulla scena con la sua spietata campagna di pulizia etnica di tutte le minoranze religiose attraverso stupri, torture, riduzione in schiavitù e uccisioni. Ma questo non impressionò la “superpotenza umanitaria”. In una delle varie decisioni di espellere i cristiani assiri in Iraq, le autorità competenti in materia di immigrazione hanno scritto:
“A causa delle attività dello Stato islamico nel nord del paese, i combattimenti sono diminuiti a Baghdad. Ci sono però attacchi terroristici e sparatorie a Baghdad. (…) L’Autorità per la Migrazione ritiene che non avete un fondato motivo di temere di essere sottoposti a gravi abusi. (…) Pertanto, non siete considerati come (…) bisognosi di protezione…”.
Nel luglio 2017, le autorità svedesi competenti in materia di immigrazione decisero che un’attrice iraniana Aideen Strandsson, la quale si era convertita segretamente al Cristianesimo in Iran prima di arrivare in Svezia nel 2014 con un visto di lavoro, avrebbe dovuto essere rimandata nel suo paese, dove rischiava di finire in prigione – ed essere sottoposta di conseguenza a stupri e torture, frequenti nelle carceri iraniane – e poiché per l’apostasia in Iran è prevista la pena capitale, sarebbe potuta andare incontro alla morte. Nel corso dell’udienza, un funzionario svedese dell’immigrazione avrebbe detto alla Strandsson che se convertirsi al Cristianesimo era stata una sua decisione ora le conseguenze di questa scelta erano esclusivamente un suo problema.
La polizia svedese ha un accumulo di lavoro, pertanto, fortunatamente potrebbe volerci molto tempo prima che la donna sia espulsa. Nell’agosto 2018, la Strandsson non sapeva ancora quando sarebbe scattata l’espulsione.
Si stima che in Svezia si nascondano 8mila cristiani sui quali pende un ordine di espulsione, secondo quanto riferito dall’avvocato svedese Gabriel Donner, che ha assistito circa un migliaio di richiedenti asilo cristiani che rischiano l’espulsione.
Secondo Donner, i funzionari dell’immigrazione non comprendono perché qualcuno diventerebbe cristiano:
“Ciò è ben evidente quando un richiedente asilo dice di essersi convertito per l’amore che ha ricevuto da Gesù Cristo. E quasi beffardamente [i funzionari] chiedono al convertito di spiegare che cosa intende per amore. Non riescono affatto a comprenderlo”.
Inoltre, nel gennaio 2018, il Comitato ONU contro la tortura ha impedito alla Svezia di rimpatriare in Pakistan un ex musulmano, Abdul Malik. Arrivato in Svezia dal Belucistan (una regione del Pakistan) nel 2012, l’uomo si è convertito al Cristianesimo nel 2015, è stato battezzato e ha lavorato alle traduzioni della Bibbia. Nonostante tutto questo, le autorità svedesi non hanno creduto al fatto che la sua conversione fosse autentica e nel 2017 decisero di espellerlo. In Pakistan, Malik era a rischio di essere arrestato e torturato, non solo per le sue attività politiche a favore del Belucistan, ma anche per la sua conversione al Cristianesimo.
A quanto pare, la Svezia non sembra essere una “superpotenza umanitaria” dopotutto.
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Autore: Judith Bergman è avvocato, editorialista e analista politica. È Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute.