«Non sono mai stato ascoltato da nessuna commissione antimafia». Lo ha detto, parlando a Bari con gli studenti dell’istituto scolastico Marco Polo, Giuseppe Costanza, autista e uomo di fiducia del magistrato antimafia Giovanni Falcone morto a Capaci, il 23 maggio del 1992, per mano di Cosa nostra assieme alla moglie, Francesca Morvillo, e agli agenti Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. Vi furono 23 feriti, fra i quali gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza.
Nel corso dell’incontro, organizzato dall’associazione culturale Echo Events, Costanza ha aggiunto: «L’uccisione di Falcone è legata alla sua nuova nomina di procuratore capo antimafia». Falcone, tornando da Roma, una settimana prima dell’attentato – ha raccontato Costanza – «mi disse: ‘È fatta. Io sarò il procuratore nazionale antimafia e ci muoveremo con un piccolo elicottero chiamato Moschito».
Una nomina che, secondo Costanza, è costata la vita di Falcone in quanto il giudice era deciso a «ricomporre il pool antimafia per ricominciare indagini vietate», e perché «un pool composto da più persone non è minacciabile e corruttibile».
Costanza ha detto che, dopo la strage, si è sentito “isolato». Durante il suo ricovero in ospedale – ha raccontato – andò a trovarlo il giudice Paolo Borsellino – che sarebbe poi stato il successore di Falcone come procuratore nazionale antimafia – chiedendo di rimanere da soli in stanza. «L’unico che venne a trovarmi», ha detto Costanza, il quale ai ragazzi ha spiegato perché gira l’Italia e parla di quanto gli è successo: “perché – ha detto – è una verità che non leggerete mai sui libri, i giornali o alla tv».
«La mafia – ha detto Costanza, rispondendo ad alcune domande dei giornalisti, a margine dell’incontro – non è quella che ti spara. La mafia è quella che organizza e usa la manovalanza per ucciderti. Quella è mafia. Io ritengo che ci siano ancora altri individui da individuare». E ha concluso: «Voglio la verità che ancora non c’è».