“Più di un migrante su mille sbarcato in Italia presenta tubercolosi polmonare attiva e necessita pertanto di immediato ricovero e cure”. E’ l’allarme lanciato Bruno Cacopardo, docente di malattie infettive dell’Università di Catania, tra i relatori del XVII congresso nazionale della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), in corso a Torino sino a mercoledì. “Il dato emerge da uno screening effettuato in collaborazione dall’Università di Catania e dall’Arnas Garibaldi di Catania – sottolinea Cacopardo – e appare complessa in questa popolazione la cosiddetta ‘retenction in care’ poiché i migranti avviati a trattamento antitubercolare tendono ad interromperlo arbitrariamente poco dopo la dimissione“.
Nel 2016 sono stati notificati 4.032 casi di tubercolosi, il 62% si è verificato in persone di origine straniera. “Lo smantellamento della rete di assistenza dedicata alla ‘retention in care’ dei pazienti con malattie croniche o in trattamenti prolungati, potrebbe essere destinato a creare gravi rischi, sia individuali che comunitari”, aggiunge Capopardo.
“In Italia – aggiunge Mauro Sapienza, responsabile Medicina della migrazione all’ospedale Umberto I di Enna – esistono numerose indicazioni dirette e indirette dell’aumentato rischio di malattie sessualmente trasmissibili negli immigrati: le malattie infettive genito-urinarie (con particolare riferimento a Schistosoma haematobium) costituiscono uno dei più frequenti gruppi di patologie tra gli immigrati”.
“Tra le altre condizioni infettivologiche connesse ai flussi migratori – rimarca Sapienza – rammentiamo il rischio di acquisizione di malaria, spesso legata a viaggi del migrante nel proprio paese di origine senza ricorrere ad adeguate misure di prevenzione. L’incidenza di casi di altre patologie tropicali esotiche (lebbra, filariosi, tripanosomiasi africana) appare, infine, relativamente modesta”. (AdnKronos Salute)
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