di Antonio Amorosi
Il futuro che verrà avrà il volto dell’islam? Se lo stanno chiedendo da tempo in Germania, dopo l’esplosione del partito di destra AfD (Alternativa per la Germania), apertamente contrario all’aumento di popolazione immigrata musulmana, l’omicidio di un cittadino tedesco e lo scontro, durato mesi, tra Angela Merkel e il suo ministro dell’Interno Horst Seehofer.
L’islam è compatibile con le libertà della democrazia e le società liberali? Le libertà della persona e la possibilità di esprimersi che vigono in occidente sono compatibili con la cultura islamica? Se sì, come è possibile non esista una Paese islamico democratico? Per molti si può parlare di integrazione in occidente quando un islamico potrà convertirsi ad un’altra religione senza la minaccia di essere ucciso o i gay circolare liberamente in contesti islamici o le donne islamiche indossare anche la minigonna. Ma in questo caso si potrà ancora parlare di islam? Questi i temi affrontati dall’opinione pubblica.
In Italia, quando nel 2008 a Reggio Emilia una donna di origini musulmane che sosteneva di non “essere praticante” vinse il concorso locale di bellezza di miss mamma, sfilando anche in costrume da bagno e in abiti corti, immediamente si sentì la voce dell’imam Abu Abdel Rahman: “Ringrazio Dio per il dono di bellezza dato alla donna. Ma certo è strano qualificarsi come musulmani ‘non praticanti'”. La responsabile delle donne del centro islamico reggiano Iman Koudsi commentò: “In passerella, ma con il foulard, ci andrei anche io. Ma il Corano è chiaro quando dice ‘O profeta, dì alle tue spose, alle tue figlie e alle donne dei credenti di coprirsi dei loro veli'”.
Per il politologo Giovanni Sartori integrare l’islam in occidente è un’illusione: “Dal 630 d.C. in avanti la storia non si ricorda casi in cui l’integrazione di islamici all’interno di società non-islamiche sia riuscita. Pensi all’India o all’Indonesia”, disse in un’intervista del 2017 a Il Giornale. Questo “perché le società libere, come l’occidente, sono fondate sulla democrazia, cioè sulla sovranità popolare. L’islam invece si fonda sulla sovranità di Allah. E se i musulmani pretendono di applicare tale principio nei Paesi occidentali il conflitto è inevitabile”.
Qualche mese fa nella terza più grande città del Land Sassonia, a Chemnitz, per giorni, si sono susseguiti manifestazioni e scontri tra opposte fazioni. L’evento scatenante è stato l’omicidio in pieno centro di un giovane tedesco per mano di due immigrati musulmani richiedenti asilo. Tensioni a cui sono seguiti dibattiti, iniziative ed eventi culturali per chiedersi dove sta andando la Germania e se la sua cultura è compatibile con l’avanzata imponente del mondo musulmano. In Italia invece, nonostante piccole iniziative, nulla di questi dibattiti prende piede.
Secondo un sondaggio del 2017 di Ipr-Marketing per IlGiorno “il 31% dei musulmani intervistati non vuole integrarsi, mentre il 28% vorrebbe integrarsi ma non ci riesce. E ben il 58% non si ritiene proprio integrato”. Stesso problema si è manifestato in questi anni Germania. Gli immigrati musulmani hanno una bassa conoscenza della lingua tedesca e delle norme nazionali oltre che della cultura locale.
Dal 2012 i tedeschi hanno pensato di correre ai ripari insegnando l’islam nelle scuole, dalle elementari, come materia regolare inserita nei piani di studio. In modo da avvicinare i musulmani allo Stato. In Germania esistono 2 scuole che preparano all’insegnamento degli studi islamici ma il primo educatore sarà pronto solo dal 2019. Intanto ci si arrangia con gli insegnanti proposti dalle comunità religiose esistenti (riconosciute) che definiscono i piani di insegnamento.
Gli studenti studiano il Corano, apprendono la storia della religione di Maometto, imparano i fondamenti della Shari’a e dell’etica islamica e vengono invitati a raccontare eventuali “atti di intolleranza” subiti ad opera di “soggetti islamofobi”. Agli studenti viene quindi insegnato che il credo islamico è “perfettamente compatibile” con i valori storici della società tedesca.
Per Angela Merkel, “l’Islam fa parte della Germania”. Per il ministro dell’Interno Seehofer: “No, assolutamente”. Seehofer sostiene che non fanno parte della cultura giudaico-cristiana, della storia e delle tradizioni del Paese. E i due terzi dei tedeschi, secondo un sondaggio, sono d’accordo con lui.
Il giornale Bild, invece, ha di recente mostrato che il problema della mancata integrazione ha anche ricadute economiche: dei 5,93 milioni dei beneficiari dell’indennità di disoccupazione in Germania, 2,03 milioni (34,3%) sono stranieri. Quasi la metà di questi (959.000) proviene da Paesi non europei. I più numerosi sono i siriani (588.301), seguiti dai turchi (259.447).
I musulmani censiti in Germania sono 4,95 milioni su 82 milioni di abitanti ma sono destinati a crescere. Come cresceranno i partiti islamici già presenti in Belgio, Olanda, Finlandia, Francia, Spagna (osteggiato perché si ritiene non affine ai valori costituzionali), Austria, Grecia, Bulgaria. Così come cresceranno le loro rivendicazioni, visto l’aumento demografico in Europa, e la capacità di determinare le politiche dei Paesi in cui esistono. E con l’aumento esponenziale delle popolazioni di religione islamica crescono anche le esigenze e i consumi. Sintomatica la storia, di un anno fa, della foto delle chiese ortodosse greche che su un surgelato venduto nella catena Lidl venivano raffigurate senza crocifissi (tolti con photoshop), sollevando le proteste di molti cosumatori europei e che chi scrive raccontò sul quotidiano La Verità.
Diventati quasi 2 milioni solo in Italia e 35 milioni nel continente, i consumatori musulmani sono, visti anche i tassi migratori in essere, in rapida ascesa con tanti prodotti food a loro dedicati dal mercato. Ma il consumatore musulmano è particolarmente intollerante in materia di iconografia religiosa raffigurata sui prodotti commerciali. Argomento sollevato in vari studi. Il consumatore musulmano deve essere approcciato secondo precisi principi etico-religiosi. I prodotti devono essere infatti “consentiti”, cioè in arabo Halal. Il musulmano, soprattutto se osservante, cerca sempre il prodotto certificato Halal, conforme ai principi islamici di produzione e stoccaggi. Figuriamoci quale può essere la sua reazione trovando un prodotto con croci cristiane in foto. Secondo il think thank americano Pew Research Center, nei prossimi 20 anni la percentuale di consumatori musulmani crescerà in Europa di almeno un terzo.