Istria rosso sangue, un film da vedere

di Marcello Veneziani

Domani uscirà nelle sale un film che dovreste avere il coraggio e la sensibilità di vedere. Si chiama Red Land, terra rossa, ed è dedicato alla storia di una ragazza istriana, Norma Cossetto, che fu violentata, massacrata e gettata nelle foibe dai partigiani comunisti di Tito, sostenuti dai partigiani comunisti nostrani, solo perché era la figlia del segretario politico del fascio locale. Norma era una studentessa, laureanda a Padova con una tesi dal titolo Istria rossa, rossa come la terra istriana, ricca di bauxite. Quella tesi, e quella terra rossa diventa la metafora che dà il titolo al film ed evoca il sangue versato sulla terra istriana e il colore dell’ideologia che condusse allo sterminio.

È un film duro anche se sa essere delicato nelle scene dello stupro. Il regista è un argentino, Maximiliano Hernando Bruno, la protagonista è Serena Gandini. Il corpo di Norma fu ritrovato dai pompieri nel ’43, l’ultimo testimone è un vigile del fuoco di 98 anni e ha raccontato che la ragazza la ritrovarono quasi seduta nella fossa carsica, con gli occhi che cercavano la luce all’imbocco della foiba. Una storia terribile in cui il Male appare quasi assoluto, diabolico, più che bestiale.

Perché è così difficile parlare di foibe nel cinema italiano ma anche nelle scuole e nei media? Perché evoca il capitolo più infame del Novecento, il comunismo e i suoi orrori, che si spargono lungo settant’anni, tre continenti, centinaia di milioni di vittime e di oppressi. Una catastrofe che non ha paragoni. Ma tutto questo va rimosso, come ben sappiamo.

Molti anni fa, ero in Rai, e riuscimmo tra mille difficoltà, ad approvare uno sceneggiato sulle foibe, il primo su un continente sconosciuto. Ma lo scotto da pagare fu trasformare quella tragedia corale in un dramma quasi privato, una storia sentimentale, in cui sfuggivano le ragioni bestiali e politico-ideologiche delle foibe e soprattutto non si comprendeva la matrice dei barbari esecutori: comunisti, parola mai pronunciata in tutta la fiction. Ricordo poi i guai che passarono altri che sollevarono il velo d’omertà sulle foibe; per esempio Renzo Martinelli, regista di Porzus, un bel film sull’eccidio dei partigiani bianchi della brigata Osoppo (tra cui il fratello di Pasolini) da parte dei partigiani rossi. E di recente, la barbarie di chi augurava la riattivazione delle foibe per infoibare i “sovranisti” di oggi…

Solo di recente lo Stato italiano riparò al vergognoso oblio, la trucida omertà, e il presidente Ciampi consegnò una medaglia d’oro alla memoria di Norma Cossetto. La meritoria iniziativa partì allora da Franco Servello, vecchia guardia dell’Msi in versione An. La studentessa aveva già ricevuto nel ’49 la laurea honoris causa postuma, alla memoria, su proposta del latinista e comunista Concetto Marchesi dall’Università di Padova. Ma una lapide nello stesso ateneo la ricordava assurdamente tra le “vittime del nazifascismo”. Lei che era stata barbaramente trucidata dai comunisti di Tito. Un vile oltraggio alla verità e alla memoria, che la uccideva una seconda volta.

Red Land è stato realizzato da Rai cinema col sostegno della Regione Veneto. Da segnalare l’impegno di Maurizio Gasparri per promuovere il film; gli va dato atto il suo impegno di vecchia data sui temi della memoria storica nazionale. Così come va ricordato che Roberto Menia, deputato della destra triestina, fu il primo firmatario della legge che istituiva la giornata del ricordo, di solito coperta da smemoratezza istituzionale, dedicata alle foibe e all’esodo dalmata e istriano.

Anni fa raccontai la storia vera, e quasi a lieto fine, di una ragazza italiana d’istria, Irma. Era venuta a cercarmi lei, cinquant’anni dopo, perché teneva a raccontarmi la sua storia, prima che la vecchiaia la inghiottisse nel suo gorgo oscuro. Fu presa dai partigiani, insieme ad altre ragazze che furono brutalmente violentate. Ma lei fu salvata dalla sua bellezza, ci tenne a dirmi. Riuscì a far innamorare il capo partigiano e questo le consentì di aver salva la vita, lei e suo padre che aveva il torto di essere un imprenditore italiano d’Istria.

Ma con l’epurazione persero tutto, la loro casa, le loro proprietà, la loro terra. Lasciarono il loro paese. Anni dopo tornarono nella loro terra e la trovarono abitata dagli slavi. Avevano costruito sul loro giardino otto palazzine ma avevano lasciato alcuni alberi. C’era ancora un albero di loti che avevano piantato lei e sua sorella, da ragazze. Lei cercò di cogliere un pomo dall’albero. Fu scoperta e allontanata con ruvida asprezza dai nuovi proprietari. L’albero dell’adolescenza aveva ormai frutti proibiti. A volte si diventa ladri in casa propria, per amore del tempo perduto.

Vi confesso che non amo parlare di foibe e tragedie affini; reputo che la memoria non si debba identificare solo con l’orrore ma anche col positivo ricordo di epoche, eroi, eventi del passato. Non mi piace tornare su queste memorie dolorose che offendono la dignità umana, non ho voglia di rivangare e tantomeno di rivendicare qualcosa nel nome delle vittime. Sono stanco di questa guerra postuma a colpi di sterminio. Temo le speculazioni politiche, le approssimazioni nei giudizi, i piccoli interessi del momento, le cecità dell’odio; detesto il già detto mille volte, seppure invano. Ma non possiamo sottrarci – per una sorta di dovere civico, etico, spirituale – dal ricordare quella storia che l’Italia ufficiale, sempre premurosa davanti a ogni ricorrenza purché antifascista, preferisce sbrigare con brevi, fredde, formali cerimonie. Perciò raccontiamo quella storia che invece andava cancellata. Era fuori Norma.

MV, Il Tempo 14 novembre 2018