di Aldo Grandi
Perdona loro, avrebbe detto Qualcuno sicuramente più autorevole di noi, perché non sanno quello che fanno. Il fatto è, purtroppo, che loro, al contrario, quello che fanno lo sanno e, soprattutto, lo imparano benissimo. Magari sono anche delle chiaviche a scuola, ma quando si tratta di prendere a calci in culo e uova in faccia poliziotti e carabinieri in servizio di (dis)ordine pubblico, non c’è lezione che tenga. Tutti in strada pardon, tutti in piazza che si vede meglio e giù sassi, bottiglie, uova, vernice, bastoni, mentre quei coglioni, sì, quelli che, in divisa, si guadagnano il pane con tanto di casco e scudo in policarbonato trasparente almeno da evitare, oltre al danno, anche la beffa e l’umiliazione di vedersi massacrare, assistono impotenti al proprio supplizio. Ma la colpa di tutto questo è anche nostra, degli esempi e dei cattivi maestri che hanno fatto di tutto, nei peggiori anni della loro vita, per trasmettere una cultura della violenza che nessuno, tantomeno la politica, ha avuto il coraggio di stroncare.
In fondo, nell’immaginario collettivo di chi ha passato la gioventù a considerare le forze dell’ordine una sorta di appestati da cui guardarsi e dai quali fuggire, si tratta soltanto di agenti e carabinieri con scarsa ambizione, altrettanta cultura, poco stipendio e tanta voglia di farsi pestare dai figli e dai nipoti di una borghesia, non importa se grande, medio o piccola, che ha sempre chiuso gli occhi in maniera ipocrita pur di salvare il culo ai suoi rampolli.
Vanno in Tv, sproloquiano un po’ dappertutto i falsi profeti, coloro che sanno per aver partecipato alle Contestazioni dei Bei Tempi Andati, quando andava di moda il tiro al bersaglio e quando il bersaglio erano quelle sagome in divisa abbandonate a se stesse.
Ma non sono bastati gli omicidi, le invalidità più o meno permanenti, le ferite che non si rimargineranno mai nel cuore e nella mente di chi le ha patite, a far crescere questa massa di studenti senza cervello che di giorno sputano e assaltano mentre, la sera, tornano a casa e si mettono a tavola con mamma e/o papà felici di aver giocato alla guerra. E’ successo anche oggi, in diverse città, contro questo Governo, ma sarebbe stata la stessa cosa se al potere ci fossero stati quelli che c’erano fino a poco tempo fa. Il problema è anche di noi giornalisti, una delle peggiori categorie dove la presunzione di sapere è, spesso, direttamente proporzionale alla volontà di non capire. Vanno con i loro taccuini a prendere nota delle manifestazioni, ascoltano e osservano gli studenti, mentre gridano, mentre urlano, mentre fanno scoppiare gli incidenti che, mamma mia quanto è bello, se non ci fossero sarebbe un servizio del cazzo. Ce li ricordiamo, a metà anni Settanta, i cronisti dei giornali arrivare davanti alle scuole o ai cortei e annotare tutto quel che veniva detto da ragazzi di appena 16-18 anni, con il latte ancora sulla bocca, con in testa vagonate di Ideologia spicciola, ma capaci di devastare, distruggere, picchiare e, poi, anche di uccidere.
L’errore sta nel riprodurre troppo spesso asetticamente e senza critica quello che urlano. Oggi hanno protestato contro le misure di sicurezza varate dal Governo senza nemmeno domandarsi se la sicurezza, nel nostro Paese, sia divenuta, ormai, un optional. Avessimo visto uno di questi manifestanti scendere in strada per protestare contro l’assassinio di Pamela o di Desirée.
Già, i giornalistoni, gli intellettuali con la I maiuscola si sono persi nella discussione sui motivi per cui, di questi tempi e negli ultimi lustri, non ci sono stati altri Sessantotto e Settantasette, quasi quasi dovessimo rimpiangere l’allora impegno politico che ha condotto più generazioni alla rovina. Sì, perché i giovani hanno il diritto di manifestare, ma, aggiungiamo noi, dovrebbero anche avere il coraggio di farlo quando sono sotto un regime dittatoriale o di polizia e non, invece, com’è adesso, tra un piatto di pasta e un salto in pizzeria sapendo benissimo, complice una Giustizia che, talvolta, viaggia come i gamberi, di restare impuniti.
Abbiamo seguito anche noi, come cronisti, cortei e manifestazioni il cui unico obiettivo, alla fine, era sempre e solo il medesimo: attaccare quei poveri cristi di agenti e carabinieri, ma quando, una delle ultime volte, ci siamo trovati a pochi metri dall’impatto, guardando negli occhi uomini di 40, 50 anni probabilmente padri di famiglia, doversi difendere e soffrire di fronte a ragazzi che hanno l’età dei loro figli, bene, non ce l’abbiamo fatta più e, con una rabbia degna di ben altri palcoscenici, abbiamo scritto quello che abbiamo visto, ma che quasi mai i cronisti osano scrivere per non compromettere il giornale, se stessi e rischiare di rimanere soli: sono il più delle volte gli studenti, giovani, meno giovani e giovanissimi, a provocare, a far di tutto pur di far scoccare la scintilla che dovrebbe condurre, secondo la loro logica limitata e dietro la spocchia di borghesucci da strapazzo, all’assalto del Palazzo d’Inverno.
Noi ci domandiamo perché poliziotti e carabinieri, quelli dai gradi più bassi, ma non soltanto, debbano prendersi tonnellate di merda solo perché vestono la divisa di uno Stato il cui primo dovere non è quello di accogliere a destra e a manca, ma di difendere in primis i propri figli dalle ingiustizie, dalle ipocrisie, da coloro che fanno del crimine la loro missione di vita. Invece no, si pagano di più, quando accade, purché si facciano fare di tutto senza reagire. Attenti, perché arriverà un giorno in cui chi dovrebbe proteggere incrocerà le braccia e chi non saprà difendersi, resterà in balìa del terrore.
Ai tempi della contestazione, c’era un’area di consenso, un’area di contiguità all’interno della quale proliferavano politici, intellettuali e giornalisti di fama immeritata, secondo i quali non si doveva stare né con lo Stato né con i terroristi, di fatto assistere senza prendere posizione ad una mattanza senza fine. Ed è stata proprio questa complicità implicita che ha spinto decine di migliaia di giovani, studenti in larghissima maggioranza, a credere che fosse possibile una rivoluzione, non una specifica, ma una qualsiasi, senza nemmeno conoscere che cosa avrebbe dovuto essere. Ed oggi, sempre a Sinistra, esiste una vasta area di protezione, economica, giudiziaria, ma soprattutto, politica che plaude ai centri sociali, agli antagonisti, a tutti coloro che rifiutano l’ordine costituito anche quando non è altro, ormai, che un disordine istituzionalizzato.
Ci sono stati giornalisti e intellettuali, negli anni della beata incoscienza di molti di questi ex giovani passati, poi, dall’altra parte, che hanno pagato con la vita il coraggio di scrivere quello che molti pensavano, ma che nessuno si azzardava a dire o, peggio ancora, a mettere nero su bianco. Oggi i giovani avrebbero tanti motivi per protestare a causa di una scuola che fa acqua in tutti i sensi e da tutte le parti e non li mette in condizione, spesso, di essere sufficientemente preparati ad affrontare la vita. Ma cosa c’entra la scuola che non funziona con le devastazioni, gli incidenti, le aggressioni, le uova e gli sputi a chi indossa la divisa?
Loro, i manifestanti, preferiscono attaccare l’autorità, qualunque essa sia e se non è di Sinistra meglio ancora. E, esattamente come quaranta anni fa, ancora il nemico e il bersaglio preferito sono gli agenti di polizia e i carabinieri che sembrano fatti apposta per fare i birilli in un bowling dove, però, quando si cade, non ci si rialza automaticamente, ma si finisce in mille pezzi. Fuori e, soprattutto, dentro.